Avvertii subito la
sensazione di essere tornato a casa. Chissà perché. In fondo si trattava solo
della stazione periferica di un paesino sperduto, immerso in un sonno profondo
quanto i misteri della culla. L'ora tarda aveva indubbiamente contribuito a
creare un clima d'intimità all'interno della sala d'aspetto, ove singolari
figure si erano raccolte per trascorrere la notte, più che per attendere le
corse successive.
Un ubriaco, il cui
pesante russare copriva persino il ticchettio dell'orologio a muro, si era
disteso lungo la fila di sedili traforati che disegnavano il perimetro della
stazione; poco più in là, rannicchiata vicino a una colonna dall'intonaco
scrostato, una vecchietta era intenta a mettere ordine in alcuni sacchetti di
plastica. Lungi dall'invadere i loro appezzamenti, decisi di assestarmi su un
trenino in legno che, durante il giorno, doveva essere preso d'assalto dai
bambini più irrequieti: le prime tre carrozze erano ampie a sufficienza per
imbastire un letto di fortuna, mentre il vagone ristorante avrebbe ospitato
senza problemi l'enorme zaino che mi trascinavo ovunque.
Scrupolo del tutto
inutile. Preannunciati da risa incontenibili, due monelli balzarono fuori dalla
gradinata che conduceva ai binari e, scartandosi reciprocamente, conclusero una
fulminea azione di football calciando con violenza al centro della sala. La
pallina di carta, ormai logora, sfiorò la paccottiglia della donna e andò a
conficcarsi nell'intercapedine della macchinetta per il rilascio dei biglietti.
In un battito di ciglia si fecero seri e maturi: "tanta bravura per
nulla!" – commentò il più
grande con stizza. A
testa china raggiunse l'ubriaco sulle seggioline, portò le mani alla testa,
simile a un pensatore dell'antica Grecia, e rimase chinato sulle ginocchia con
fermezza granitica. Dal lato opposto, il suo amico lo fissava assorto. Per un
attimo credetti che il tempo si fosse fermato, fotografando la trascurata
armonia di un'improbabile famigliola notturna.
La vecchietta aveva
infatti rivolto uno sguardo accondiscendente ai due giocatori, accarezzandoli
con la pacata saggezza dell'età, quasi volesse prevenire una reazione un po’ sgarbata
da parte dell'uomo macilento.
Di tanto in tanto, la
porta a vetri scorrevole si apriva, introducendo sulla scena nuovi personaggi
per apparizioni fugaci. Sembrava di sedere a teatro, a una di quelle stupende
commedie dell'assurdo in cui erano gli emarginati e i bizzarri ad accattivarsi
la simpatia della platea, ironizzando sulle loro piccole tragedie quotidiane.
"Come mai non
dormi?" – domandò il più grande dei due monelli - "Hai riordinato le
tue cianfrusaglie per ore, come se dovessi accamparti qui per sempre, e poi te
ne stai lì ritto a fissare il vuoto".
Era sbucato alle
spalle senza fare rumore. Il suo compagno gli stava accanto divertito,
giochicchiando con un accendino raccattato in qualche cestino dei rifiuti.
"Non so. Sono
contento di trovarmi qui, in vostra compagnia. E' da settimane che continuo a
viaggiare ininterrottamente, vagando di porto in porto alla ricerca di qualcosa
che non sono mai riuscito a trovare. E ora, quasi per caso, sento che
trascorrerei volentieri molto tempo in questa stazione".
"Ti siamo
simpatici? Ehi Billy, abbiamo un nuovo amico!". Il bimbo con l'accendino
s'illuminò di gioia: tenne la fiamma accesa per qualche secondo e rise di
gusto. Anche la vecchietta ci fissò soddisfatta.
"Cosa intendevi
dire, prima, quando hai gridato "tanta bravura per nulla"? Ti
piacerebbe diventare un giocatore professionista?"
"E' giusto un
sogno. Non ho mezzi, né istruzione. Mi hanno abbandonato quando avevo la sua età!
- e indicò amareggiato Billy, i cui grandi occhi azzurri pendevano dalle sue
labbra. Benché mi avessero affidato in custodia a un signore con una pancia smisurata,
ho preferito darmela a gambe: meglio vivere per proprio conto, che accanto a
una persona insulsa”. Sbuffò. Non andava fiero della sua vita passata. L'unica
vera consolazione, per quanto non volesse darlo a vedere, era stato l'incontro
con Billy, certo più sfortunato di lui e molto più fragile. Lo trattava come un
compagno di sventura, ma era un bambino. Lo sapeva bene: inconsciamente si
sentiva in dovere di proteggerlo e se talvolta rimediava qualche barretta al
muesli, il pezzo più grosso spettava sempre a lui.
"Abbiamo girato
un sacco di stazioni - riprese con spavalderia – finché il caso ha voluto che
proprio questa divenisse la nostra casa. Non chiudono mai, neppure di notte.
Inoltre conosciamo tutti gli habitué del posto: ad esempio quell'ubriaco, che
vedi là steso, ci racconta un sacco di storie spassose, mentre Babuccia una
volta ha messo in fuga dei tipacci: volevano rubarci un coltellino, ma lei si è
messa a gridare e li ha spaventati. E' in gamba, Babuccia!"
"Già! In gamba
la nostra Babuccia" - fece eco Billy, annuendo a braccia incrociate.
La stanchezza
iniziava a pesarmi sulle palpebre, ma era ormai impossibile accomiatarsi dai
due. Volevano sapere dei miei viaggi, delle località strane che avessi mai
visitato, della mia vita. La curiosità li divorava. Alla fine ritenni più opportuno
girare le domande rivoltemi senza interruzione, in modo tale che potessi
sonnecchiare a occhi aperti, mentre si sforzavano di ricordare le loro
avventure. Billy insisteva nel dire che il suo compagno era ancora più bravo
dell'ubriacone nel raccontare certe storie. Lui si schermiva, ma dentro di sé gongolava
per quei piccoli riconoscimenti. "Dai, raccontagli di quella signora! Sei
così poetico quando parli di lei". Arrossì, ma trovò infine il coraggio di
confidarsi.
"Beh…ho delle
immagini confuse e poi lo sai che mi commuovo. Ricordo il suo volto, il suo
profilo inondato dalla calda luce di un tramonto come tanti altri. Ricordo il
suo sguardo, che un tempo aveva scintillato in occhi d'ambra, sino al giorno in
cui si smarrì nell'ultimo volo delle rondini estive, senza fare più ritorno. Di
fronte alla tavola sfatta, su cui non rimanevano che inquietanti spoglie di una
grigliata insipida, la sua figura stava accasciata sulla vecchia sedia di
paglia. Immota, quasi presentisse l'avvicinarsi di un istante fatidico,
lasciando che solo i suoi capelli fini e diradati assecondassero le danze della
brezza serale".
Era sconvolgente.
Riuscivo persino a udire il sibilo suadente degli steli d'erba, cullandomi
sulle note ingenue della sua giovane voce. La brezza era stata una vera e
propria benedizione dispensata dopo giorni d'afa insistente, che avevano
dapprima costretto la donna su un divano di raso purpureo, quindi in un letto
dalle ruvide lenzuola di cotone, come se la pelle ingiallita e grinzosa dovesse
abituarsi gradualmente ad asprezze di ben altro genere.
"Parlava poco,
lei così loquace; sorrideva ancor meno, ma mi dicevano che di nascosto,
nell'intimità della sua mente sagace, aveva iniziato a interrogare i moti degli
astri, i cachinni – sì proprio questa era la parola che usavano - delle fronde di quercia, i colori stinti
dell'alba di pianura". Billy aveva ragione. Il suo amico era un pittore
nato: vidi chiaramente lo sguardo della donna mentre tornava a posarsi sulle
briciole della cena, che disordinatamente affollavano la tovaglia macchiata.
Con un’impercettibile contrazione delle labbra, pareva essersi indispettita del
fatto che in nessun modo, comunque le si osservasse, potessero essere raccolte
in un'ipotetica forma geometrica. Abituati a scorgere allusioni e assonanze in
grappoli di lettere morte, se non arcane formule nella successione di cifre
cieche, quelle briciole, loro malgrado, manifestavano il tragico destino della
casualità! Erano sopravvissute alla vorace ingordigia del tempo e presto
sarebbero state spazzate via da un breve colpo di vento, venendo dimenticate
per sempre.
Eppure, proprio ora
che lo scorcio di una vita a fior di pelle iniziava a farsi abbagliante per
occhi stanchi e velati, erano le piccolezze quotidiane ad alimentare il calore
del ricordo: "la spesa dal vecchio prestinaio, l'odore del tè servito
sempre con una punta di miele, la trasmissione televisiva condotta dall'impareggiabile
re del quiz. Frammenti di un'esistenza scomparsa chissà dove, ormai invisibile,
ma in ogni caso percepibile nello scorrere impetuoso del sangue per le vene.
"Non era sola,
non lo era mai stata – proseguì con gli occhi umidi in cerca delle rotaie -
benché, tutt’attorno, i suoi cari si affaccendassero ai fornelli o al lavabo;
ma quel tramonto non poteva che appartenere a lei sola. I richiami della sera,
le moine delle betulle e le parole più dolci la sfioravano con la stessa
fragile delicatezza profusa dai petali dei mandorli d'Oriente”. L'incanto
suscitato dalla trascurata bellezza del ciclico ritorno aveva infine assunto la
nobile solennità del banale. Non vi erano più confini da oltrepassare, ora, né orizzonti
da scoprire: tutto pareva tornare all'abisso dell'origine, con la stessa
immediata semplicità che aleggiava sui quesiti dei primi anni. Nel disco
tagliato della stella più amata non scorgeva macchie, né irregolarità. Il suo
bagliore non respingeva l'occhio del peccatore, costretto a subire
l'umiliazione del diniego, a tollerare nell'ombra il decomporsi di vergogne
ancestrali; invocava bensì accondiscendenza, affinché il bagno di luce, così a
lungo atteso, cancellasse ogni cicatrice e dissolvesse le asperità dei desideri
mancati.
"Non vidi mai più
nessuno accomiatarsi dal mondo con tanta aristocratica grazia". Timide
lacrime solcavano le guance del ragazzo. L'amarezza che, da tempi immemorabili,
gli aveva impedito di buttarsi a capofitto sul primo vagone di passaggio,
abbandonandosi agli scherzi del destino, era inevitabilmente affiorata. Sinché quell'immagine
avesse conservato nella sua memoria il carattere effimero del sogno mancato,
della culla perduta, nel mondo non avrebbe scorto altro che squallide stazioni
di periferia, lontane anni luce dalla meta desiderata. Eppure, qualora avesse
scorto anche un piccolo appiglio cui avvinghiarsi, avrebbe certo trovato la
forza per riscattare lo sguardo stanco di Babuccia e i bonari rimbrotti
dell'ubriacone …
"La ricchezza
del legame. L'eredità del tempo". Pronunciai quelle parole quasi
inconsciamente. I due monelli mi guardavano seri, probabilmente in attesa di
una spiegazione a enigmi dal sentore allettante.
"Più volte ho
considerato queste parole con l'astratto distacco del filosofo, utilizzandole
quali meri tasselli per pensieri distorti. Come se godessi del privilegio di
scrivere della mia vita, o dell'altrui, basandomi solo sui miei sogni, senza
occuparmi di viverla sino in fondo. Poi, leggendo il diario di viaggio di un
grande uomo, rimasi sorpreso dall'immediatezza di una frase che si legava
benissimo a quanto abbiamo vissuto".
I due ragazzini si
strinsero accanto, sfiorandomi con i loro capelli spettinati e le loro
magliette logore. "Che cosa diceva?"
"Parole
semplici: proseguo, dunque, portandomi nello zaino dell'esistenza il testimone
dell'amore, della sensibilità e della saggezza affidatemi dall'ultima carezza
materna".
Sapete, sembra quasi
incredibile che un gesto, un solo fugace gesto, possa racchiudere il
significato di una vita intera. Eppure, grazie a esso, riesco a rileggere ora il
passato sotto un'ottica più serena. E di quel che ancora faticherei a
pronunciare con occhi non arrossati, sono però riuscito a scrivere con
vividezza".
"Billy, ti rendi
conto? Abbiamo conosciuto uno scrittore!"
“Magari lo fossi! Io
sono solo un biografo”.
Si erano avvicinati
anche Babuccia e l'ubriaco. Non era notte per riposare, osservarono, e il sole
sembrava non voler proprio sorgere. Al gruppo si era fra l'altro aggiunta una
certa Simone, provocante cubista di cui il maggiore dei monelli si era da tempo
invaghito. Ogni notte, alle tre meno un quarto, faceva irruzione nella
stazione, compiacendosi nel veder la meraviglia e la venerazione dipingersi sul
volto del ragazzo. Quelle stesse virtù che inutilmente ricercava nei volti
paonazzi del pubblico assiepato sotto il palco, in attesa che si mostrasse il
suo salvatore. E per quanto non perdesse occasione di schernire il ragazzo, a
poco a poco si era convinta che, un giorno o l'altro, sarebbe fuggita proprio
al suo fianco. Stringendolo al seno.
"Prima di
lasciare mia madre - scrisse quell’uomo
nel suo diario di viaggio - ho accarezzato il suo viso, come da anni non avevo
più osato fare. Esattamente nello stesso istante, ho avvertito la sua mano
distendersi sul mio volto, morbida e delicata quanto il ricordo della mia
fanciullezza. Pochi secondi. Forse un attimo, appena. Ma in quel momento ho
avuto l'impressione di essermi fatto specchio della sua immagine. Un'immagine -
buffo a ripensarci - di perfetta simmetria. I suoi occhi si sono riflessi nei
miei: da un lato, il passato, la memoria, l'origine; dall'altro, il futuro, la
possibilità, l'incertezza. E in quella carezza, la soglia spalancata del
presente: tutta la sua eredità nel gesto più dolce cui potessi anelare.
Non ho pianto, perché
non volevo tradire quel che allora era stato solo un oscuro presagio. Una paura
remota che ho ingenuamente rifiutato, che ho voluto scongiurare con una fuga
disperata: mi ero quasi persuaso che la mia lontananza potesse esercitare il
magico influsso di un amuleto, rappresentando lo stimolo più ostinato per tener
vivo il desiderio di una madre che vuole rivedere il proprio figlio, prima di
abbandonarlo per sempre. Confidando in quell'assurda speranza, avrei voluto
prolungare in eterno il mio viaggio: più lontano sarei andato, più intenso
sarebbe stato l'istinto di sopravvivenza di mia madre.
Non è stato così.
Quando l'ho riabbracciata dopo il mio repentino rientro, come un raggio
inaspettato che buca le nubi, ha dipinto un fugace sorriso. Quindi il buio
dell'inconscio, il vuoto dell'oblio, essendo ormai irrimediabilmente soffocata
dai dolori lancinanti del suo male".
I due monelli
cercarono l'abbraccio dei loro vicini. Anche Simone, questa volta, non disdegnò
di stringere al cuore il suo ammiratore. Ognuno cercava quel calore e
quell'affetto famigliare che, in un modo o nell'altro, era stato loro sottratto
da una vita beffarda. Non importava da quali strade fossero giunti. Non contava
puzzare d'alcool o avere vestiti logori. Destini simili li tenevano legati
saldamente, sebbene la scure della fortuna potesse abbatterli o mutilarli in
qualsiasi momento. Nessuno, però, si sentiva così insensibile da rifiutare una
carezza al vicino, o un buffetto consolatorio. Insieme erano forti. O almeno lo
credevano.
"Si è poi
chiesto - ripresi - se avesse sbagliato tutto. Se si fosse comportato nel modo
più insensato, pur non potendo prevedere una crisi tanto repentina e
devastante. E ha pensato a quante parole avrebbe potuto spendere in quegli
ultimi giorni al suo fianco. Ha ripensato alla sua carezza e al suo sorriso.
Alla profonda stima e all'orgoglio che sempre aveva nutrito nei confronti di
lui. Al suo invito a vivere con gioia l'esperienza del viaggio. Un viaggio ben
più lungo di quel che potesse immaginare.
Forse non avevano più
nulla da dirsi. Forse tutto si era già consumato nell'etereo splendore di
quell'attimo tanto soave, quanto irripetibile. E proprio in quel gesto ha
voluto riconoscere la sua benedizione, il legame più profondo che unirà per
sempre madre e figlio, il passaggio del suo testimone carico di feconda eredità.
Ma, soprattutto, il simulacro più sacro di quelle parole che, sono certo,
avrebbe voluto sussurrargli: "ti voglio bene". Avrebbe anche potuto
aggiungere "fai il bravo", "sii forte", o "tagliati i
capelli": in ogni caso custodiva già tutto il suo essere dentro di sé. Da
allora in poi, la sua casa divenne il mondo".
Dopo averli
accarezzati a uno ad uno, li vidi allontanarsi nel radioso sorriso del alba,
tenendosi per mano. Fu quella la loro ultima fermata e la prima, titanica bugia
cui avessero mai prestato fede.
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