"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

giovedì 21 gennaio 2010

L’ISOLA INFRANTA




Un filosofo non lo ammetterà mai, tanto più il fondatore della scuola stoica. Eppure le rughe sulla fronte di Zenone tradiscono inconfutabilmente una certa apprensione. Balzano all’occhio non appena si osservi la statua che i suoi concittadini gli hanno dedicato di fronte al municipio di Larnaka, che ai tempi – fra il IV ed il III secolo avanti Cristo – si chiamava ancora Kition. Per uno che ha trascorso la vita ad elogiare la superiorità della ragione sul sentimento, ad onorarla in quanto manifestazione del Logos divino nell’uomo, esser nato sull’isola della Dea dell’Amore dev’esser parso quasi una beffa del destino. Oggi osserva sfilare sotto il suo piedestallo frotte di giovani che notte e giorno affollano il “Foinikoudes”, il lungomare puntellato di palme su cui si succedono alcuni dei locali di divertimento più famosi di Cipro. Se un turista si avvicina alla sua statua, quasi sempre lo confonde per il suo omonimo collega di Elea, lo Zenone che inventò i paradossi sull’irraggiungibilità della tartaruga di Achille o sulla freccia che non potrà mai centrare il bersaglio. Colpa forse degli accesi dibattiti che si tengono nei palazzi del potere alle sue spalle, intonsi esempi d’architettura coloniale britannica. Quando poi tenta di spiegare che i miti sono solo favole per addolcire la cruda realtà, le coppiette d’innamorati scappano a piè levato sino a Petra tou Romiou, ostinandosi a disegnare cuori di pietre bianche sulla spiaggia ove Afrodite mosse i primi passi: un arioso golfo dalle acque trasparenti, che tanto somiglia al suo ambito delta.
Tempi duri per i filosofi. Richiamare alla sobrietà e al rigore diviene ogni giorno più difficile. Cresciuti nel culto luminoso della Grecia pagana, i visitatori di Cipro giungono infatti sull’isola in cerca di Bellezza e Desiderio, mentre Larnaka parla loro dell’ineluttabilità della storia, punta il dito sui segni del tempo. Non può fregiarsi dei grandi musei e delle numerose chiese di Nicosia, l’illustre capitale ad appena una ventina di chilometri più a nord, né tanto meno dei siti micenei o alessandrini di Paphos, che si gode tramonti infiniti sull’estrema costa occidentale. Non ha un porto cosmopolita come Lemesos e neppure un’oasi naturalistica pari a Capo Gkreko, nei pressi di Agia Napa.
Eppure tutti passano per Larnaka, dal momento che il suo aeroporto funge da ingresso principale al Paese ormai dal 1974: posto a dovuta distanza di sicurezza dal confine della mai riconosciuta Repubblica turca di Cipro Nord - ultimo, famelico morso dell’imperialismo d’Istanbul - rappresenta anche l’ideale punto d’equidistanza verso le attrattive locali.
I primi ad accorgersene furono alcune tribù del Neolitico, che a pochi chilometri dalla città edificarono curiose abitazioni cilindriche, nelle quali il vivo riposava accanto al morto, l’animale a fianco dell’uomo: case-alveare inanellatesi poi nel sorprendente villaggio di Choirokoitia, patrimonio Unesco d’immenso valore preistorico.
Altrettanto verosimilmente, solo da qui i cittadini di domani potranno davvero costruire una nuova storia cipriota sotto il segno dell’unità e dell’ordine. Proprio come avrebbe voluto Zenone, prima che la passione d’Afrodite sconvolgesse i cuori dei suoi discepoli ed infrangesse il Paese in due, conficcando nella loro carne l’ago di un anelito mai pago.
Minareto e campanile si fronteggiano a Larnaka senza pretese d’egemonia, l’uno dolcemente accarezzato dalle palme che crescono sul lago salato della città, l’altro baciato dal sole che immancabilmente splende sulla chiara pietra calcarea con la quale il centro storico è stato costruito. Entrambi consapevoli del proprio peso storico, ma non per questo pronti a rovinare sui fedeli di sponda opposta.
Da un parte la moschea di Hala Sultan Tekkesi è infatti uno dei siti musulmani in assoluto più venerati sin dal 648 dopo Cristo: al suo interno custodisce la tomba della zia di Maometto, tragicamente caduta da cavallo sotto gli occhi dei fenicotteri, nel punto in cui il gran califfo Moavia avrebbe poi fatto edificare il sito sacro. Dall’altra la chiesa bizantina di S. Lazzaro cela invece le spoglie dell’uomo che Gesù stesso fece tornare in vita, finendo poi per essere nominato vescovo di Kition dagli apostoli Paolo e Barnaba: non dovrebbe dunque sorprendere che la sua icona, oggi, sia portata in processione otto giorni prima della Pasqua ortodossa e venga considerata capace di sacri prodigi. Proprio come la piccola cappelletta di Agia Faneromeni, ubicata su un sito pagano dove, dalla notte dei tempi, le ragazze che desiderano restare incinte compiono alcuni giri rituali attorno al basamento scolpito nella roccia. Dono dell’antica Dea Madre, che si sarebbe poi trasformata nell’Afrodite classica.
Ad aver davvero del miracoloso, tuttavia, è la pacifica convivenza degli abitanti di Pyla, il piccolo villaggio alle porte di Larnaka che, unico in tutta l’isola, non si è mai piegato alla legge del bianco e del nero.
Benché nel mirino di una caserma dell’Onu, ospitata in pieno centro, il suo fascino si effonde attraverso la semplicità del quotidiano: studenti d’origine turca e greco-cipriota si ritrovano ogni mattina sulla balconata della moschea o sotto la torre d’avvistamento veneziana, in attesa del bus che insieme li condurrà a scuola. Il cuoco che sforna kebab al take-away è solito scambiarsi ingredienti col titolare del ristorante di calamari greco. L’imam scherza col prete. Quando poi si sale sulla collina che domina il villaggio, è sorprendente scoprire quanto gli edifici sacri delle due comunità siano l’uno a ridosso dell’altro, a dispetto del filo spinato che solo pochi metri più in là ribadisce il confine di una separazione fittizia.
D’altra parte l’acuirsi del contrasto fra musulmani ed ortodossi è stato alimentato solo dall’irresponsabilità della politica, visto che lungo tutta la sua storia Cipro è sempre apparso un fecondo laboratorio multiculturale, integrandosi gradualmente con le numerose potenze egemoni del Mediterraneo: all’inizio Fenici, Greci, Persiani e Romano-Bizantini, quindi Franchi, Veneziani ed Ottomani, sino ai più ostinati di tutti, gli Inglesi, che conservano sull’isola due basi militari di grande importanza strategica.
Nel momento in cui lo shock culturale fosse apparso troppo traumatico, la risposta è sempre stata quella di appellarsi all’isolamento dell’interno, alla custodia gelosa della montagna: sin dall’epoca bizantina Cipro ha preso a ricoprirsi d’eremi e monasteri abbarbicati, le cui severe regole di confraternita colmano di silenzi assorti le profumate foreste di pini marittimi. Solo il fruscio delle tonache nere ricorda che, sul fondo dei corridoi di Machairas o Stavrovouni, qualcuno è forse intento a mescolare colori pastosi, sussurrando preghiere a fil di labbra mentre un pennello pedissequo fa della verità un’icona. Solo il tintinnio dei cucchiaini nell’acqua di rose ha la capacità di ridestare d’improvviso dall’estasi della sete, dal mistico desiderio di riscoprire, una volta ancora, quale sapore abbia mai il sapere.
Fra queste montagne costellate di antichi paesini rurali, talvolta fascinosamente abbandonati come Fikardou, Grigoris Afxentiou allestì non a caso la propria base di resistenza, divenendo presto l’eroe della Lotta di liberazione nazionale. Un breve conflitto che, fra il 1955 ed il 1959, portò finalmente Cipro a proclamarsi repubblica autonoma. Purtroppo Grigoris non fece in tempo ad unirsi ai festeggiamenti, visto che due anni prima della fine delle ostilità gli inglesi ne scoprirono il covo segreto: anziché consegnarsi, lui scelse d’opporsi con le armi, scatenando una battaglia di sette ore proprio alle porte del monastero di Machairas. Alla fine gli inglesi riuscirono ad averne ragione solo inondando il nascondiglio di benzina e dopo averlo fatto esplodere, ma l’enorme statua che svetta dalla collina dello scontro prova che il compagno “Zedhros” non s’è mai separato dal suo popolo. Come l’aquila che, al suo fianco, ne custodisce lo spirito.
Trovandosi al crocevia fra Europa, Africa ed Asia, i ciprioti hanno in fondo dovuto imparare a stringere legami solidi, a far conto sulla parola data, a tal punto che se davvero esiste una peculiarità in grado di distinguerli dai cugini greci, è proprio l’incapacità di non tener fede ad una promessa. Anzi, l’indiscutibile abilità di Lefkara nell’intrecciare fili e nello stringere nodi riuscì a stregare addirittura Leonardo da Vinci: per acquistare una tovaglia che fosse decorata con il tipico punto “lefkaritika”, il genio rinascimentale si spinse sino a questa graziosa cittadina di montagna, tutta vicoletti e ciottoli lastricati, finendo per donare il prezioso artefatto al Duomo di Milano. Le due città sono rimaste così legate per oltre quattrocento anni: oggi non c’è sarto a Lefkara che, fra un colpo d’uncinetto ed un bicchierino di grappa Zivania, si dimentichi di citare il sontuoso gemellaggio del 1986, attraverso il quale una delegazione cipriota fece dono alla cattedrale meneghina della più raffinata tovaglia mai tessuta.
Ma non è forse il nodo il più antico segno d’amore? Non è forse l’intreccio la figura del desiderio? Di nuovo l’antica dea nata dalle acque spumeggianti pare far capolino fra i suoi adepti. Poco importa se l’antico santuario di Palaipaphos versi allora in rovina, lasciando che le colonne spezzate si logorino al vento e i mosaici sbiadiscano al sole. Stessa sorte è ugualmente toccata al vicino tempio di Apollo Ylatos, i cui bagni sacri si sono asciugati e non più reclama giovinetti da plasmare nelle sue palestre orgogliose. Kurion, la città da lui protetta, si regge in piedi solo attraverso lo splendido anfiteatro che osserva rapito il più grande attore di sempre: il mare. Gli idoli erotici dedicati alla Dea Madre, invece, sono stati fatti prigionieri di musei ed esposizioni, come prova la ricchissima collezione della Fondazione Pierides di Larnaka.
Ma fra le verdi acque dei bagni d’Akamas i sospiri degli innamorati suonano gli stessi di quelli d’Adone ed Afrodite. Le labbra di miele che si sfiorano sotto Petra tou Romiou sembrano vinte dalla medesima passione. Qui rocce bianche, come vergini inviolate. Là tramonti purpurei, verecondia del primo tocco. E ancora, petali di eterna primavera nell’aria e voluttuose gocce di vino in gola.
No. Neppure Zenone è riuscito davvero a vincere la dea: le sue non erano rughe di rassegnazione, ma la meraviglia dello sguardo che s’apre al mistero dell’Amore. Il fremito dell’uomo che ha appena riconosciuto la sua fine. Proprio lì, nel sorriso di chi passa e fugge.

IN VINO VERITAS

Cosa non si fa per golosità. Pare che l’invasione di Cipro da parte del sultano ottomano Selim II, nel 1570, fosse stata dettata dall’irrefrenabile desiderio di assaggiare la Commandaria, uno dei suoi vini più antichi e rinomati. Nata attorno al XII secolo per mano dei Cavalieri Templari, si è conservata nei secoli come un dolce passito e ambrato da dessert, frutto di due uve autoctone che crescono sui monti Trodòs: la Mavron e la Xynisteri. Una prodigiosa miscela in realtà nota da tempo, essendo stata lodata da Riccardo Cuor di Leone in persona, prima che questi vendesse l’isola ai Templari, a loro volta pronti a cederla alla famiglia franca dei Lusignano, durante il tumultuoso periodo delle Crociate. A quel punto i famosi vigneti nei pressi di Lemesos passarono in mano ai Cavalieri di S. Giovanni, meglio conosciuti come Ospitalieri, i quali s’avvidero dell’importanza commerciale di questi possedimenti e decisero di difenderli erigendo addirittura il possente castello di Kolossi: loro “commando” generale, dopo la caduta di Acri per mano degli Infedeli. Di fatto la tradizione vitivinicola cipriota affonda le sue radici in epoca classica, visto che libagioni di vino già si tenevano ai tempi dei Greci in onore di Afrodite, appassionatissima della “Cypriot Manna” descritta dal poeta Esiodo nell’800 a.C. Oggi sull’isola esistono vere e proprie “strade del vino” che, fra Paphos e Lemesos, permettono di sostare nei pittoreschi paesini della Krassochoria. In questa regione sono coltivati i migliori vigneti ciprioti, quasi sempre accompagnati da curiosi musei tematici, oltre che da strutture agrituristiche ove sperimentare la deliziosa cucina locale.

L’ULTIMO MURO D’EUROPA

Se lo scorso anno la Germania ha festeggiato con concerti e fuochi d’artificio l’odiata barriera che divideva in due Berlino, a Nicosia si è invece persa la speranza di rivedere una città davvero unita. Filo spinato, pareti di cemento armato ed abitazioni fatiscenti delimitano ancor oggi il confine fra la parte greco-cipriota e turco-cipriota della città, lasciando la terza isola più grande del Mediterraneo in un empasse politico che dura ormai da più di trent’anni. La maldestra decisione di annettere Cipro alla Grecia aveva infatti portato, nel 1974, ad un intervento armato della Turchia, pronta a difendere con le armi i diritti della propria minoranza. Caduta però la giunta militare greca, i turchi non hanno mai abbandonato l’isola ed oggi il 37% del suo territorio si ritrova a vivere in un limbo insopportabile: collegamenti, servizi, rappresentanze passano solo ed esclusivamente per Ankara. I cittadini di Cipro Nord sono costretti ogni giorno a confrontarsi con i loro ricchi vicini, ad “emigrare” per ottenere migliori condizioni di lavoro, senza aver mai il diritto di decidere autonomamente il proprio futuro. C’è chi spera che l’eventuale entrata della Turchia nell’UE possa far recedere il governo turco dall’occupazione, ma difficilmente torneranno a fiorire città fantasma come Varosha, un tempo località per Vip nei pressi di Famagosta ed oggi un ammasso di grattacieli spettrali. Ripercorrere la “green line”, la striscia spinata che divide l’isola in due, significa allora gettare uno sguardo verso quella pseudocoscienza di cittadini cosmopoliti, troppo in fretta nettatasi in una retorica pomposa ed autocelebrativa.

LA’ DOVE OSANO GLI DEI

Akamas è una specie di regno segreto e selvaggio. Una penisola a se stante nell’estremo nord-ovest di Cipro, che ormai da tempo attende d’esser riconosciuta parco nazionale. Non è un caso che proprio qui la tradizione abbia individuato i famosi “bagni d’Afrodite”, piccola grotta allagata all’ombra di un fico, dove la dea soleva incontrare il suo amante Adone. Fra gli oltre 500 diversi tipi di piante presenti in quest’incredibile ecosistema, abbondano anemoni e rose rosse, i fiori scaturiti dal sangue del favorito della dea (ferito a morte allorché il geloso dio Ares gli scagliò contro un cinghiale). Questi divengono protagonisti indiscussi durante la festa primaverile dell’Anthestina, nella quale l’ebbrezza dell’amore si fonde con quella del vino: da Akamas a Paphos, da Germasogeia a Larnaka, giovinetti incoronati di foglie di viti raccolgono petali in processione, stringendo fra le loro dita la promessa dell’immortalità. Proprio per la sua ricchezza naturalistica, che comprende spiagge incontaminate ed amene anse ove si riproducono le rarissime tartarughe verdi Chelonia Midas, Akamas è il luogo ideale per cimentarsi nel trekking, nelle immersioni o lungo i percorsi in bicicletta, senza trascurare un tuffo nella miglior Spa del Mediterraneo, l’Anassa (www.anassa.com).

L’ULTIMO PENNELLO SACRO

Se si dovesse cercare un anello giunzione fra il Medioevo e la Contemporaneità, non sarebbe difficile trovarlo nella mano ispirata del pittore Kallinikos. A 90 anni compiuti dipinge ancora con la stessa freschezza ed abilità che, nel 1942, fecero di quest’umile monaco ortodosso l’allievo prediletto del famoso artista Kondoklou. Che si tratti di raffigurazioni sacre in cera, ad olio, o realizzate su affresco, i capolavori della cristianità antica sono tornati immancabilmente a vivere nello splendore delle sue icone perfette. Sua è la Sant’Elena oggi visibile nel monastero di Stavrovouni, suoi sono i santi alti sino a quattro metri sulle pareti ecclesiastiche di Paphos e Nicosia; ha sbalordito la Russia, così come la Germania o la Svizzera, esponendo a Mosca, Berlino, Amburgo, a tal punto che il suo piccolo studio-museo - alle porte del monastero di Stavrovouni - è ormai colmo di articoli da tutto il mondo. Già a fianco dell’arcivescono Makarios III, primo presidente della Repubblica di Cipro con il quale condivise gli anni della resistenza agli Inglesi, ha ottenuto riconoscimenti dalle più insigni autorità cipriote ed europee, facendo riscoprire al mondo il valore simbolico dell’iconografia: una pratica di dedizione e spiritualità che salva nel momento stesso in cui dà forma al messaggio di salvezza cristiano. Oggi la più grande collezione d’icone cipriote è custodita presso il museo bizantino di Nicosia, nella parte vecchia della città. Le opere esposte coprono il periodo compreso fra il IX ed il XVIII secolo, offrendo una panoramica unica sull’evoluzione delle tecniche figurative. Recentemente è stata anche pubblicata un’opera esaustiva sulla loro storia, curata da Athanasios Papageorghiou ed intitolata “Icons of Cyprus”.