"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

giovedì 3 febbraio 1977

QUADRI INCOMPLETI


Se non fosse stato per l’intenso odore di tempera di cui la stanza era pregna, certo il mio sonno sarebbe durato molte ore ancora. Fra le infinite sfumature insinuatesi negli anni sotto la tappezzeria, o fra le stoffe dell’arredamento, gli aromi oleosi mi erano del tutto estranei e, per un attimo, temetti che qualcuno si fosse intrufolato nella mia camera da letto, cercando di sorprendermi con le spalle scoperte. Solo dopo averne scrutato con attenzione il perimetro, lungo il quale luci taglienti ed ombre profonde si sferzavano su comando dei raggi filtrati dalla tapparella, mi accorsi di essere sdraiato sopra un quadro ancora fresco.

Avvertivo la viscosità del colore sulla pelle, all’altezza del ventre, ma quanto più lucida si delineava la percezione di trovarmi disteso su un possibile capolavoro dell’arte estemporanea, tanto più sconcertante cresceva la domanda attorno alla sua origine.
Mi riusciva difficile credere che, la notte precedente, avessi potuto addormentarmi scivolando col corpo su una tela abbandonata. Abbandonata da chi, poi, visto che vivevo solo e nessuno poteva avere accesso al mio disordinato appartamento?

Facendo contemporaneamente forza sulle braccia e le gambe, rimasi sospeso a mezz’aria per qualche secondo: per fortuna avevo intaccato solo la parte inferiore dell’angolo a sinistra. Dopo essermi ribaltato di lato come una testuggine, mi lasciai cadere a peso morto sulla moquette, per non alterare ancor più il quadro, le cui dimensioni apparivano notevoli. Benché non avessi indossato il pigiama, gli avvallamenti dell’addome erano stati velati da un malleabile sostrato di grigio e blu oltreprussia. Tinte suggestive ed eleganti, valorizzate dal contrasto col candore macchiato delle lenzuola.

L’opera, ad un primo sguardo, riusciva piuttosto singolare. Al di là dell’area su cui si era accanita la rabbia della notte, un sentiero sgombro si inerpicava verso un’antica costruzione, forse una torretta nobiliare. Era stata eretta ai margini di una collina, assecondando desuete fantasie neogotiche, mentre fitte fronde di aceri e querce disegnavano un manto inquieto, circolare e molto ampio, come se fossero state disposte per richiamare appositamente la cima di una testa calva. Alle spalle della torretta prendeva avvio un’altra strada diretta verso il bosco antistante, ma la cui rappresentazione si snodava simmetrica rispetto alla parte opposta dell’opera. Senza dubbio un lavoro ben fatto, eppure straniante: il soggetto, benché realistico, appariva troppo complesso per essere realizzato sulla stretta cima di una collina; inoltre, la scura figura in cammino sul secondo sentiero spezzava irrimediabilmente l’equilibrio dei richiami.

Corsi a sciacquarmi sotto la doccia, desiderando raggiungere quanto prima l’antiquario del paese, ovvero l’unica persona in grado di fornirmi qualche indizio attorno al quadro. Mentre la schiuma allo zenzero infieriva sotto le mie palpebre assonnate, continuavo a tormentarmi sui dettagli dell’opera: “a dire il vero la strada non si perde nel bosco, ma ripiega su se stessa, sino a congiungersi con il sentiero che introduce alla torretta. Probabilmente disegna un circolo...se solo fosse possibile scrutare oltre la fitta vegetazione...o capire che cosa ho cancellato nell’angolo basso”.

Quando buttai la tela impacchettata sul polveroso scrittoio dell’antiquario, lui rimase del tutto indifferente.
“Che c’è lì dentro? Oggi non compro”
“Non ho intenzione di vendere. Almeno sino a quando non avrò chiarito di che si tratta”
Scartai il pacco, portando la tela sotto un faretto giallognolo. Circonfuso da quell’alone cimiteriale, il quadro assunse un aspetto ancora più sinistro.
“Caspita! – esclamò il vecchio ingobbito – ma come fa ad avere in mano un quadro del genere?”
“Lo conosce?”
Si avvicinò a piccoli passi, annusando quasi la tela. Poi si mise ad annuire grave, senza pronunciare una parola.

Quando tornò a fissarmi, con gli occhi sgranati ed ingigantiti dalle spesse lenti, il suo volto era impallidito.
“No. No, no. Credevo si trattasse di una rarità, di un pezzo poco noto, ma mi sbagliavo: la tempera è ancora fresca. Se fosse l’originale, sarebbe quanto meno crepato. Certo che la mano sembra la stessa...Curioso, come l’ha avuto?”
Conoscendolo, aveva analizzato il quadro con eccessiva fretta. Troppa fretta, persino qualora si fosse trattato di un falso. A quanto pare aveva altro per la testa, o forse voleva nascondermi qualcosa. Non mi aveva mai posto domande sull’origine dei reperti che, di tanto in tanto, solevo sottoporgli.
“Chi ha dipinto l’originale?”

Tornò a mettere ordine negli scaffali in fondo alla stanza, sbirciandomi di sottecchi.
“Mah – farfugliò tutto indaffarato – mi avevano detto che un tela simile era stata venduta al vecchio titolare del negozio, molti anni fa. Il proprietario era un nobil uomo, che viveva in collina: voleva ricavarci dei soldi¼pensa un po’¼uno tanto ricco! Si sentiva soffocato dalla pittura! Alla fine riuscì a liberarsene, ma il mio collega non andò mai fiero di quell’affare, tanto che cercò di celarmi i risvolti della trattativa”
“Va bene...ma non ha risposto alla mia domanda!”
“E’ un bel quadro: che ti importa di chi l’ha dipinto. E poi io non sono un esperto in questo campo, valuto solo lo stato di conservazione”
Lo squadrai scettico.
“Perché non ne parli con gli eredi del venditore? Loro sapranno dirti qualcosa in più”
Con un passo già oltre la soglia, il vecchio fece ammenda: “Mi dispiace...mi dispiace davvero che non possa offrirti aiuto. Magari fosse successo prima...abbi cura di te e, se vieni a sapere qualcosa, qualunque cosa, torna a trovarmi!”

Decisi di salire all’antica residenza sul far della sera, quando il sole volgeva al tramonto. Non avevo voglia di fare un altro viaggio a vuoto. Prima di lasciare l’appartamento, tuttavia, feci scattare ben due volte la serratura, temendo sgradite irruzioni: non che possedessi prove di una forzatura, al di là del fatto che la chiave aveva faticato un poco prima di girare, ma le nebbie della notte mi avevano messo in allarme.
La macchina arrancava sul sentiero sterrato, sul quale era a poco a poco calata una foschia sottile, tipica del sottobosco di bassa montagna. Ne avvertivo i profumi penetranti e i rumori attutiti, aguzzando lo sguardo per cogliere qualche barbagianni che si preparava alla caccia notturna.
Al citofono, una voce amichevole mi invitò a salire direttamente nello studio del proprietario.

“Che gradita sorpresa – avanzò una donna in vestaglia, mentre mi veniva incontro sciogliendosi i capelli – finalmente qualcuno della città. Oltretutto un bel giovanotto! Quassù è così triste...e poi, quando si è soli, il tempo non passa mai!”
Si avvicinò per stringermi la mano, con un sorriso luminoso.
“So che l’ora non è opportuna, ma mi hanno detto che lei è l’unica persona a cui chiedere chiarimenti su un quadro finito in mio possesso”
“Già...me lo aspettavo. L’ha indirizzata qui l’antiquario?”
“Lo conosce?”
“In passato abbiamo avuto qualche screzio, ma ora è tutto risolto. Prego, si accomodi. Desidera qualcosa da bere? Un caffè, un tè?”
“Se mi fa compagnia, accetto volentieri un tè”
“Credo che trascorreremo molto tempo assieme – aggiunse fissando il divano – e mi perdonerà, spero, se l’ho accolta così agghindata...non la metto in imbarazzo, vero?”

Sarebbe stato difficile attribuire un’età a quella donna, perché irraggiava al contempo un fascino maturo ed ingenuo, avvolta in un kimono rosso di seta pregiata. I capelli, lunghi e corvini, cadevano morbidi all’altezza del seno, mentre le mani vellutate infondevano grazia e cortesia.
“Le piace il mio studio?”
Solo in quel momento, quando alzai il capo per rimirare le possenti pareti della stanza, scoprii che tutto attorno erano appesi quadri bellissimi, il cui stile richiamava vagamente i virtuosismi della mia tela.
“Una parte di questi – mi redarguì – sono stati dipinti da mio nonno, tutti gli altri – in particolare quelli a sinistra – sono frutto della mia fantasia. Come può vedere, prendono spunto da semplici eventi della vita quotidiana”
“Sono incantevoli...tanto più che appaiono scene di un’unica narrazione: questa strana figura scura dapprima si trova avvolta nelle coperte, poi cammina spedita per strada, qui sembra stia amoreggiando con una donna bellissima, mentre in quest’ultimo ricorre ancora, ma a margine di una libreria, penso, o di una tintoria...è difficile distinguere i particolari: è una scelta deliberata?”

La donna si accoccolò sul divanetto antistante, squadrandomi pensierosa e con un cipiglio a tratti beffardo. Iniziò ad accarezzarsi le gambe, piegate di lato come una seducente matrona imperiale, mentre le dita inquiete tormentavano i lembi della striscia di raso che la cingeva in vita.
“Non mi è mai piaciuto dire tutto – osservò con voce grave – desidero piuttosto che siano gli osservatori a completare il significato della tela, affinché possano ritrovarvi una parte di se stessi. Bisogna tuffarsi nella raffigurazione: la cornice non è che un limite apparente. In fondo ogni arte non fa che reduplicare la realtà, nel tentativo di piegare ai nostri desideri il corso degli eventi”.
“E’ proprio questo che mi ha sempre attratto, ma allo stesso tempo infastidito, nel gesto creativo: alla fine crediamo di vivere in un mondo fatto a nostra immagine e somiglianza, ma è solo un’illusione”.

La donna sbuffò benevola e si avviò al tavolino di marmo rosa, su cui la governante aveva già da alcuni minuti deposto un ricercato servizio da tè. Completamente argentato, con magnifici intagli floreali, doveva risalire almeno al secolo scorso. Un pezzo per il quale il mio antiquario avrebbe fatto pazzie.
Qualcuno bussò alla porta.
“Mi dispiace disturbarla – sussurrò una voce avvolta nella penombra – ma volevo avvertirla che...
“Non c’era bisogno che ti scomodassi, so già tutto” – tagliò corto la donna, richiudendo subito l’uscio ed allungando alcune banconote. Si voltò un po’ imbarazzata e, con il solito affabile sorriso, mi porse la tazzina colma di tè aromatizzato.
“Che cosa buffa – osservai candidamente – stavo pensando a come avrebbe potuto reagire il mio antiquario, di fronte a questo magnifico servizio da tè, e all’improvviso ho associato quella voce alla sua figura: a quest’ora sarà a dormire già da un pezzo! Che sciocco”.

Lei mi guardò preoccupata. Poi venne a sedersi accanto, sfiorandomi il capo con i suoi fini capelli corvino.
“Non ha mai riflettuto sul fatto che, attraverso la nostra volontà, si possa condizionare la vita di qualcuno? Lei ha pensato all’antiquario, forse si trattava proprio di lui...”.
“Talvolta è bello abbandonarsi a queste suggestioni...ma, a ben guardare, non hanno motivo di essere. Per prima cosa, l’antiquario non la conosce. Secondo, sussiste sempre un margine di casualità che inceppa qualsiasi piano, per quanto minuziosamente concepito; terzo, credo nel libero arbitrio e...
“Crede: non ne è sicuro?”
Sorrisi nervoso. Ero venuto per svelare i misteri del mio quadro e invece mi ritrovavo a vagheggiare sul senso dell’esistenza. “Se è per questo – ripresi ironico – non è stata neppure provata con certezza la differenza fra il sogno e la vita...ma a me interessa venire a capo dei piccoli problemi quotidiani: non mi piace fare il passo più lungo della gamba. Si corre il rischio di scivolare o di non arrivare del tutto alla meta. Che cosa sa dirmi di questo quadro, piuttosto?”.

Le sottoposi la tela, ancora imballata nella carta logora che aveva riutilizzato l’antiquario, quando mi aveva garbatamente cacciato dal suo emporio. Lo fissò per qualche secondo, tenendo le mani conserte, finché si rivolse a me con tono enigmatico: "ancora non hai capito? Sei tu che devi trovare la risposta: non devi neppure inventarla, è già scritta qui sopra”
Strinse le mie dita fra le sue mani, accarezzandole lentamente. Quindi iniziò a disegnare un percorso sinuoso lungo il palmo, solleticandomi con le sue unghie arrotondate.
“E’ come se seguissi un percorso invisibile...vedi quel quadro, laggiù?”
“Ebbene?”
“Raffigura la storia di un forestiero, che giunto dalle sabbie del deserto, stanco ed assetato, bussa alla porta di un’abitazione apparentemente abbandonata. La casa è stata costruita a ridosso di un’enorme montagna, al di là della quale si cela forse una terra fertile e verdeggiante: il forestiero ha capito, sbirciando dalla piccola finestra che si apre accanto all’uscio, che l’unico accesso a quella terra può avvenire passando all’interno della casa. Sulla parete opposta ha visto infatti che si apre una nuova porta, collegata ad un lungo corridoio illuminato sul fondo. Non ci è arrivato subito, ma dopo innumerevoli visite, in attesa che qualcuno potesse accoglierlo e fornirgli spiegazioni sul luogo in cui si è smarrito”.

“Ma nella tela accanto, sembra dialogare con qualcuno...
“Già, è la figlia più piccola del padrone di casa. Hanno fatto amicizia parlandosi attraverso la grata della finestra. Lui aveva sorpreso sia la ragazzina che le sue sorelle giocare nella stanza, mentre si divertivano come matte, provando al contempo un fastidioso senso di esclusione da quella gioia spensierata che, ogni giorno, animava il gruppo. Non riusciva a darsi pace del fatto che loro potessero godere di qualsiasi piacere, mentre a lui era tutto interdetto, a lui non era rimasto altro fuorché il deserto. Peggior cosa, la più piccola lo aveva sconsigliato dal domandare accoglienza al padre, perché era un tipo burbero, violento, capace di uccidere a sangue freddo”.

Mi avvicinai al terzo quadro, cercando di capire come si fosse risolto il caso. La donna mi osservava incuriosita alle spalle.
“Il padre è venuto a sapere tutto – riprese con un filo di voce – dopo aver interrogato le figlie riguardo agli strani discorsi che, la sera, tenevano a tavola nascondendosi le labbra con le mani...ed ha posto un assoluto divieto di accesso allo straniero, senza tuttavia offrire una motivazione giustificata”
“Perché allora è così pallido, in quest’ultima raffigurazione? Finalmente il padre gli ha aperto la porta, anche se ha l’indice puntato...
“Gli ha vomitato in faccia delle parole orribili – concluse la donna, cingendomi alle spalle - “ti avevano avvertito, le mie figlie! Tu sei morto!”.

Avvertii un brivido risalirmi velocemente la spina dorsale. Lei aveva appoggiato il suo corpo morbido al mio, premendo col seno sulla schiena ed accarezzandomi sul busto. Scorreva le labbra a fil di pelle, lungo tutto il collo, indecisa se morsicchiarmi nell’incavo di giunzione con la spalla o ai lobi delle orecchie, quasi fossi il suo pasto serale. Quindi sussurrò: “so che mi desideri...
Mi sottrassi alla sua flebile morsa con uno scatto improvviso.
“Ma dove corri?” – chiese stupita
“Si è fatto davvero tardi” – ribattei imbarazzato
Tornò ad avvicinarsi con un ammiccante sorriso dipinto sulle labbra sottili. “Pensi che sia stato qualcuno ad abbandonare nella tua stanza il quadro che mi hai fatto vedere?”
Quella domanda mi prese in contropiede, non ricordandomi di aver fatto menzione dell’accaduto alla donna.
“E’ l’unica spiegazione plausibile”.

“E se lo avessi portato tu? Sai, la notte confonde i sensi...che cosa hai fatto prima di addormentarti? Come...non ricordi bene? La soglia che si apre fra il tramonto e l’alba sovrappone spesso i confini della realtà...evoca la stessa sensazione di spaesamento che ha scosso il forestiero del quadro”
“A che cosa allude? Pensa che mi sia inventato tutto? Magari per avvicinarla?”
“Assolutamente no. Eppure non è poi tanto difficile calare i sogni nella realtà: ben diverso è capire, tuttavia, chi stia sognando di vivere e chi viva sognando...quasi prendessimo vita da un quadro”.

Afferrata la mia tela, mi catapultai fuori dallo studio in preda ad una devastante agitazione, alla ricerca di aria fresca e di un sentiero che mi riconducesse fra le schiette pareti della mia abitazione.
La donna rimase in piedi vicino alla finestra, guardando assorta verso il cortile, mentre parole confuse continuavano ad echeggiare nella mia mente
“Signora, prima che mi ritiri...
“Ah...ecco la mia governante! Sei qui per i quadri?”
“Sì. Li ho spolverati tutti ieri mattina...ma mi scuserà se non li ho rimessi nel giusto ordine
“Non preoccuparti. Tanto ne mancava uno, ma presto la collezione sarà in ordine...”.

Avvolto nell’oscurità, mi diressi verso una radura che si apriva fra le piante che circondavano la residenza. Forse non avevo imboccato il sentiero d’ingresso, ma la strada si snodava familiare al di sotto di una vetusta fortificazione. Il passo si fece più quieto, il cuore tornò a battere in modo regolare e, alla fine, potei inspirare una buona boccata d’aria. Inspiegabilmente pervasa da lievi sfumature oleose...