"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)
martedì 31 agosto 1999
INTERAIL 1999
FRAMMENTI DAL DIARIO DELL'ULTIMO DANDY PESSIMISTA
- Interail 1999 -
29/30 luglio h. 20.38 - Nave di collegamento Kobenhavn-Malmo
Una corsa contro il tempo, che ha tutta l'aria d'essere una fuga dalla responsabilità: ma sì, diciamolo senza vergogna! Fuori dai denti. Qui trapela il desiderio di perdersi fra la folla di Lindau; qui freme la brama di confondersi nei sopori dell'afa lacustre. A che serve cercare la nave dissoltasi nel sole del tramonto? Perché lasciarsi inebriare dall'acre profumo dei gerani che impreziosiscono i legni di antiche case a graticcio? Qualunque sia la ragione dei nostri sospiri, saremo sempre in viaggio verso una, due, mille città che tutte divora la notte ostinata.
Ma quei respiri pesanti nei vagoni privi di luce, quei lamenti soffocati dall'oppio del sonno, non sono forse l'inconscia testimonianza dell'inquietudine di ogni viaggiatore? Perché il nostro cibo è il caso e sete, solo, abbiamo di libertà! Nel desiderio perverso di annientare il quotidiano serpeggia infondo lo spirito ribelle di cui si alimentano le avventure estive...eppure...eppure, quale senso di anelato smarrimento, quando un'ignota ed affascinante ragazza offre il suo seggio prossimo e non senza malizia si libera di ogni costrizione, prima d'addormentarsi! Eccoli i parchi doni dell'imprevisto, che governa l'umano ardire e si fa beffa di una ragione ormai spossata, il cui mito scientista - immarcescibilmente - sopravvive nelle nostre ultime illusioni.
Se bellezza è mai data, allora questa riluce tutta nell'abbandono, nello sconvolgere deliberatamente i propri piani. Solo così può infatti maturare la scelta d'inseguire il vento solo, recandosi a Copenhagen piuttosto che a Nykobing, improvvisando una colazione ove, fra le foglie di tè orientali, trascolorano e si sposano le calde essenze di due modi destinati a rimanere comunque, e per sempre, ignoti.
E alla fine? Nient'altro che la leggerezza di un istante, dall'aroma delicatamente affumicato quanto un indimenticabile smorbrot danese con gentilezza offerto, il profumo che a fianco ti ha accompagnato lungo l'accalcato Stroget, il ricordo di un battello che tuffandosi nella fioca luce di un tramonto denso di speranze, ancora scorge una mano salutare all'orizzonte...
31 luglio h. 22.30 - Viking Line sulla tratta Stockholm-Turku (osservazioni grammaticali da una poltroncina in pelle blu)
Sulle ineguagliabili note di Imagine, un pianista svedese fallito si accanisce singhiozzando anglismi e ricorrendo ad una fisarmonica alquanto kitsch per celare la sua manifesta incapacità di cantare. Da pochi minuti è calata la notte e ormai pare quasi impossibile distinguere le isolette semideserte del fiordo di Stoccolma. Inevitabile dunque contemplare lo spettacolo luminoso, seppur a tratti grottesco, dei passeggeri scandinavi. Davanti ai miei occhi appannati sfilano abiti eleganti dai colori smodatamente accesi per una serata dai toni galanti; giovani di magnetica bellezza sembrano talora oscurate da un trucco forzato ed inusuale per carnagioni pure, altre volte dalla scelta ancestrale di non voler indossare neppure un paio di scarpe lungo i corridoi di moquette tartarugata.
Alle mie spalle un olandese intraprendente mi ha appena domandato come sia possibile procurarsi una birra e, svelato l'arcano segreto, sta ora annegando i ricordi del suo folle viaggio per mezz'Europa ruttando in modo imbarazzante. La discoteca aprirà esattamente fra trenta minuti, ma già l'aria pare elettrizzata dall'attesa di una notte interminabile ove libertà ed eccesso saranno le parole d'ordine per ogni studentessa nordica: eppure basterebbe osservare dal pontile superiore l'indifferente calma del Baltico, accarezzato da una tiepida ed insolita brezza, per scoprire quanto artificiosa e rarefatta sia l'atmosfera suggerita. Concediamoci dunque ai sussurri della notte, irretiti dall'eco di una voce che riempi i silenzi della lontananza.
Il dandysmo non è ancora morto.
2 agosto h. 12.03 - Sulla tratta Helsinki-St.Petersburg (frontiera russa) a bordo del treno Sibelius/ impressioni dopo la prima giornata nell'antica capitale zarista
Barbara terra. La lingua che riempie il vuoto di questi vagoni non è che una beffa dai mille significati. I Russi vorrebbero farmi dono della sacra ospitalità, ma chiudono il loro mondo negli angusti limiti di una storia ormai morta. Eppure, quale ebbrezza sentirsi ovunque stranieri, liberi da ogni costrizione e pronti a condividere una vita intera. Basta osservare i campi abbandonati, le acque increspate dal flebile soffio del vento che accoglie i lamenti di vecchie mietitrici ed improvvisamente ci si accorge di non essere mai partiti, né di aver alcun dove, poiché l'eternità dimora nelle foreste di larici quanto nei cieli d'oriente.
Lo scorrere delle rotaie, il fuggire dei finestrini, sono solo fotogrammi rubati al tempo, che conserva una sentore di rose appassite e, come la notte, incombe sulla memoria di chi vuole solo dimenticare. Poiché ovunque è possibile avvertire l'alito della morte destinato ad ingrigire i casolari, le cui rughe sono crepe profonde ed i cui sfregi, frammenti d'intonaco: ed ecco che lo scarno contadino, con la falce sulla spalla, non scruta più il sole dell'avvenire, ma in silenzio maledice il giorno della sua nascita; la pingue matrona, persa fra le distese di frumento, non sbadiglia per la salubre fatica, ma nasconde oggi dietro gli occhi sottili la noia di un'esistenza che, in fondo, non ha mai avuto senso.
Non saranno allora le luci della città o gli spazi immensi delle geometriche prospettive ad ingannare ancora questo logoro popolo: il consumo è una droga che non cancella il pianto disperato di donne anziane ai margini della strada, le cui tremule mani stringono una carota avvizzita od un fiore ormai privo di petali: il riflesso del loro essere. Chi ha perso la dignità negli anni della riverenza, non può aver fede in se stesso, poiché inutile è piangere ciò che è passato e indegno ciò che mai potrà cambiare.
Che cosa dunque ci divide da questa sofferenza che si rifugia nell'ombra e non ha parole di consolazione? Nulla, abbiamo solo luci che meglio abbagliano e suoni che frastornano.
10 agosto h.16.22 - partenza da Helsinki (stremato dopo aver trascorso la notte all'aperto sotto la pioggia ed aver compiuto una visita ininterrotta di sei ore alla città)
Seduto sui gradini antistanti la Cattedrale bianca di Helsinki non faccio altro che aspettare. E' vero, osservo i passanti e non di rado fisso lo sguardo su un particolare architettonico, quasi volessi scolpirlo nella memoria. Ma nei miei occhi non c'è luce: sono in attesa di qualcosa che mi illumini.
Non sono in grado di immaginare quale sia l'oggetto del mio desiderio, in quanto l'inquietudine che mi sospinge di porto in porto è alquanto simile ad un appetito che non conosce requie. Desidero scoprire nuovi volti, usanze inconsuete, verità dimenticate, ma le mie conquiste sono solo lampi che abbagliano. Non provo nostalgia per quello che lascio alle spalle, eppure temo il nuovo: vorrei afferrare l'attimo pur sapendo in tal modo di condannarlo alla noia. E allora che cosa sto aspettando? Forse sono solo in attesa di dimenticare ciò che ho conosciuto, per riscoprirlo quale piacere rassicurante. E' tuttavia impossibile ripetere l'accaduto, ma non posso far a meno di immaginare come tutto si ripresenti secondo le medesime occasioni: cambiano certo gli elementi in gioco, ma precise condizioni legano i nostri passi.
Spesso le mie aspettative non si verificano e nell'insinuante sconforto non mi accorgo che il nuovo sarà la mia futura base d'interrogazione e, in un certo modo, di consolazione.
Non sono dunque un punto assente, un punto che osserva dall'alto dei gradini, ma sono il gradino stesso che viene calpestato dalla vita e ad essa può solo acconsentire. E in fondo, anche qualora trovassi questo enigmatico fiore azzurro, potrei sentirmi appagato? Io voglio essere solo là dove non sono ed il mio significato è sì frutto di un evento, ma non potrà mai essere questo evento stesso. Sono dunque condannato a cercare? In che cosa consiste la pace altrui? Forse, solo, nel non pensare al proprio autentico desiderio, ma nell'accontentarsi di ciò che viene proposto, sperando di non guardar mai in faccia la chimera dell'esistenza.
Perciò, anche se mi sento in disordine, con i capelli gonfi e spettinati, turbato dai bisogni della fisicità, non ho nulla da temere, perché se anche fosse diversamente, sarebbe sempre lo stesso.
10/11 agosto h.19.02 - Viking Line sulla tratta Helsinki-Stockholm
Di nuovo, dunque, mi ritrovo a solcare le fredde acque del Baltico, ove i giochi di luce paiono aurore artiche. Quanta vita su questa nave e quanta mancanza di spirito! Sul pontile laterale ero finalmente solo, lontano dalla folla che trae spettacolo dal banale, assorto nel pensiero della sfida oggi domata: il grigiore del mare conserva infatti una calma inquietante, affidando la vita alla leggerezza degli animi. Il mio destino è dunque di essere inghiottito in questi ignoti fondali?
Non riesco a liberarmi dai ricordi e come un'angosciante zavorra sento il silenzio dell'esistenza insinuarsi negli strepiti della massa. Che la bellezza possa salvarmi?
Quando contemplo l'orizzonte non scorgo ostacoli, ma nubi ed acque sfumano i limiti e dischiudono l'infinito, dove non v'è nulla da conseguire, ma solo da inseguire senza dover badare al proprio respiro.
Un'insostenibile vacuità, ben lungi dall'identificarsi col desiderio del possesso; pare piuttosto tensione che trascende il presente, ma non ha riferimenti né spaziali, né temporali. Oh come acquisterebbe valore, allora, un solo suono volto a spezzare l'incanto, quale pregnanza avrebbe un gesto, ma lanciato a chi?
Questo mondo vive solo nell'indifferenza dell'altro o, forse, è proprio quest'indifferenza la chiave necessaria per comprendere il significato del nostro heideggeriano esser-nel-mondo! Comunque sia, è ancora la mia voce a risuonare e nessuno sembra possedere la capacità d'udire.
Ma udire poi che cosa? Chi vorrebbe prestare ascolto alle parole del nulla? Le parole! Non sono già esse delle illusioni che increspano come onde la superficie dei nostri pensieri?
E' il mare che meglio parla nel suo silenzio e questa nave, convinta di seguire la propria rotta, non sa di essere un acerbo quesito che si staglia in un deserto orgoglioso. Potrà forse un naufragio risvegliare il segreto degli abissi? Ah, quant'è profondo il mare; e noi aneliamo il cielo e mettiamo le ali ai nostri piedi.
Mare, mare voglio naufragare…portami lontano da queste sponde…via, via su queste onde…
20 agosto h.00.33 - stazione di Erfurt (osservazioni grammaticali al limite della lucidità)
Che sia stato l'orgoglio o semplice taccagneria a costringermi in questa deserta ma pulita stazione sarà l'alba a stabilirlo. Certo per tutta la giornata non mi ha mai abbandonato il pensiero di aver speso 80 marchi ad Amburgo per una camera il cui unico pregio consisteva nell'offrire un morbido giaciglio nella notte degli interminabili divertimenti.
Quando tuttavia la sera precedente io ed i ragazzi di Bologna avevamo esaltato lo spirito d'avventura di alcuni intrepidi vagabondi, i quali avevano osato addormentarsi nei propri sacchi a pelo fra le cassette di sicurezza dell'Hamburger Hauptbahnhof, eravamo convinti dell'autenticità delle nostre parole.
Forse l'aver mischiato birra e vodka per lunghe ore, ballando sopra i robusti tavoli di legno della Guntherskeller, non è servito solo a dimenticare le preoccupazione del viaggio, ma anche le sue motivazioni.
Comunque sia, mi ritrovo ora sdraiato su un'isolata panchina a fianco del primo binario, infastidito dall'insistente rumore di una lucidatrice automatica e sorpreso dal fatto che un ragazzo possa scrivere certe scemenze, nonostante le sue palpebre pesino ancor più del sedere di una grosse Frau della Turingia. L'unica chance per guadagnare qualche ora di riposo rimane ormai il treno delle 4.03 diretto a Francoforte, il quale potrà garantire almeno 120 minuti di sonno contorto e sballottato.
Sforzarsi di scrivere in queste condizioni (onde ingannare il tempo ed i severi sguardi dei poliziotti di guardia) non è l'unico elemento surreale che deforma una semplice notte d'estate; vi è infatti qualcosa di demoniaco nell'accanimento messo in mostra da un impiegato turco durante la pulizia del pavimento antistante, o ancor più nelle risa sguaiate di due ragazze il cui profumo si confonde ormai con potenti esalazioni d'alcool. Mi chiedo poi cosa stia cercando questo popolo della notte, che ignora i saltuari avvisi del servizio d'aggiornamento ferroviario e tuttavia finge di essere in attesa di un treno per Parigi o Varsavia. Un treno che mai arriverà poiché certamente il binario è sbagliato.
Forse il teatro del non senso di Beckett traeva linfa proprio dalla queste situazioni ed i Godot di turno non sono altro che le occasioni della vita create solo dal nostro insaziabile desiderio d'essere ingannati.
Vorrei che fosse qui Long John Jim, quel simpatico vecchietto americano il cui nome tanto somiglia ad uno scadente whisky del Tennesee. Anche allora, all'alba delle 5, ci si trovava alla deriva presso la stazione di Tampere, in Finlandia, senza un seggio sui cui abbandonare le fatiche del viaggio o una coperta ove ci si potesse sciogliere nelle calde braccia di Morfeo.
Trascinando a turno una misteriosa valigia per le strade della città lacustre, Jim continuava a professare la sua cieca fiducia nella lungimiranza divina, che ci spinge alla ricerca del significato nei luoghi più impensati e ci accompagna nei momenti di difficoltà.
"Ci sono sette colline abitate di fronte alla mia fattoria, ma il sole tramonta sempre dietro la casa del vecchio Jim!": un ottimismo tanto ingenuo non poteva che appartenere ad un inguaribile yankee timorato di Dio. Qui siamo in Europa ed i miti hanno lasciato il posto alla storia dei secondi.
Un lepidottero sconosciuto è appena crollato sul mio maglione ormai logoro e maleodorante, forse anch'esso distrutto dal sonno o semplicemente beffato dalla vita. Come quel giovane che, fra le luci del "Dock" di Hamburg, conquistò i favori di un'incantevole teutonica, per poi ritrovarla sul palco di un dozzinale strip-show.
24 agosto h. 12.35 - treno diretto a Klagenfurt
Improvvisamente il tempo ha ripreso a correre e sul quadrante del mio orologio sono riapparse quelle inesorabili lancette in realtà mai dileguatesi. Quanto lontano pare già il ricordo dei giorni addietro! Quando mi tuffavo fra i bianchi vapori così prossimi all'orgoglioso Zugspitze, non immaginavo ancora che quel traguardo avrebbe rappresentato il più poetico degli addii alle porte del paradiso.
Ma in fondo, non è il destino dei mortali che hanno osato contemplare la suprema bellezza essere precipitati nella loro circolare quotidianità, condannati a rimpiangere la graffiante severità delle rocce alpine ed i brividi estatici dei dirupi profondi?
Forse nel contemplare la natura selvaggia, la natura che neppur il più ingegnoso sforzo umano riesce ancora a piegare, siamo in grado di scoprire quella grandezza del sentire, quell'Einfuhlung come farsi altro pur rimanendo se stessi, che a lungo i fedeli hanno chiamato Dio ed oggi disperano d'avvicinare.
Continuerò a non credere nei dolci miti che farciscono il pane della vita e non dirò neppure di esser cresciuto attraverso nuove esperienze: non esiste alcun viaggio di formazione, né può mutare un soggetto, ma solo disperdersi. Non credo neppure d'aver trovato il mio fiore azzurro, ma il silenzio di quella scabra montagna, il senso di lontananza da ogni logica del tempo, disvelano certo piccoli indizi per avvicinarmi al segreto del mondo. Verrebbe voglia di prestar ascolto a quell'esergo leopardiano in cui Plotino invita il proprio discepolo a sopportare la cruda realtà in cui viviamo, facendosi forza l'un l'altro, valorizzando l'umano là dove immancabilmente s'imporrà il distacco naturale, ma questa scelta cela un inconsolabile struggimento tardo stoico. Non sarebbe neppur onesto ricorrere all'oblio della memoria.
Il nostro destino è di crescere soli, marchiati nel profondo dal fuoco degli eroi maledetti.
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