"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

lunedì 13 novembre 2006

LE CAVERNE DEL TANTRA/5



RITI DI LIBERAZIONE

Kollam - Guardare in faccia i propri demoni aiuta a purificare lo spirito. Nel Kerala, verdeggiante regione adagiata lungo la costa sud occidentale della penisola indiana, i dravidici sono soliti praticare riti di forte impatto simbolico: a Cochin o a Kovalam, ad esempio, va in scena una folkloristica “danza” catartica, chiamata Kathakali. In essa creature malvagie ed eroi senza tema si affrontano sul palco di teatri ove, ogni sera, rivive l’epica del Ramayana o del Mahabharata, dopo ore d’impeccabile trucco con pigmenti naturali, mimiche esasperate e passi ubriacati da forsennati tambureggiamenti.

C’è chi invece preferisce rigenerarsi attraverso la millenaria via dell’ayurveda, grazie a bagni d’erbe e massaggi con olii profumati; oppure s’incontrano anime dannate che, rapite dall’alito velenoso delle foreste tropicali e dal sibilo dei serpenti d’acqua, s’aggrappano a canoe traballanti per risalire canali sempre più asfittici (le cosiddette “backwaters”), anelando quel “cuore di tenebra” così ben evocato da Joseph Konrad.

“I più accaniti si pongono proprio sulle orme del tantrismo – riconosce con una punta d’ironia Arundhati, un anziano pescatore che vive fra le palme da cocco non molto diversamente dai suoi avi secolari – alla ricerca di autentici guru che possano aiutarli a conoscere il loro sé più profondo. Questi evitano infatti la pubblicità, lasciando talvolta adito a racconti d’inquietanti eccessi: accoppiamenti fra cadaveri, afrodisiaci a base di sperma e mestruo, aspersione di sangue dopo la decapitazione di animali sacrificali”.

Fanatismi e malignerie a parte, non è poi tanto terribile accedere all’eversivo rito del maithuna: seduti nudi in un triangolo rosso, simbolo del ventre femminile, uomo e donna onorano i 5 makara, o principi cosmici, riproducendo l’atto originario del dio Shiva e del suo alterego femminile Shakti. Mangiano dapprima cereali (elemento terra), quindi pesce (elemento acqua) e carne (elemento aria), bevendo infine vino (elemento fuoco), per inebriare gli animi all’accoppiamento (unione degli elementi). I due rimaranno per ore congiunti secondo pose inibenti, affinché il piacere del contatto si trasformi nel fremito pervasivo dell’universo, possibilmente attraverso un’orgia a 16 (il numero delle fasi lunari): dall’originaria penetrazione linga-yoni (dimensione fisica) si raggiungerà cioè l’orgasmo psichico (dimensione spirituale), ritrovando l’uno nel tutto. E la verità macrocosmica delle caverne di Shamballah nel microcosmo divinizzato del corpo.

LE CAVERNE DEL TANTRA/4



GLI UFO NELLA PREISTORIA

Bhimbetka - Aguzzare la vista non è solo diletto per gli amanti della “Settimana enigmistica”. Se ci si sforza anche a Bhimbetka, sito dell’India centro-settentrionale con la più alta concentrazione al mondo di pitture rupestri (si contano oltre 600 caverne con testimonianze comprese fra il Paleolitico ed il Neolitico), si possono notare insolite forme discoidali d’ambigua interpretazione: seguendo le ipotesi del professor Wakankar, che scoprì le prime raffigurazioni nel 1953, alcuni studiosi sono oggi dell’idea che Bhimbetka metta di fatto in scena molti degli episodi epici narrati nella letteratura sacra dei Rig-Veda e del Mahabharata. Anzi, proprio quest’ultimo, attraverso la figura di Bhima (un eroe di cui ricorda le gesta), avrebbe indirettamente ispirato il nome del complesso d’arenaria.

“Non è un caso che scene di battaglia e di cacciagione – fa notare Shivaprasad, uno studioso locale - si ripetano sia in pigmentazioni rosse che bianche, a testimonianza dell’ampio arco temporale coperto. Ma non sono le sole: si distinguono pure riti tribali, danze di gruppo, branchi di belve feroci e mandrie di animali domestici (fra cui molti cavalli “pre-vedici”, la cui presenza nell’India più arcaica mette in seria difficoltà quanti sostengono il loro esclusivo arrivo a seguito della calata degli Ariani)”. Ci sono infine strani “dischi” che - stando alla lettera di alcuni passaggi vedici - avrebbero preso parte alle violente battaglie del passato, confermando la teoria di chi vuole vedere nella civiltà harappiana un modello di organizzazione sociale assai più elevato di quanto si supponga, capace di perpetrarsi nella successiva civiltà vedica senza soluzione di continuità. L’analisi dei Rig-Veda compiuta da Georg Feuerstein e Subhash Kak, due moderni teosofi, mostrerebbe addirittura come i versi dell’opera altro non siano se non complessi codici matematici per calcolare le processioni equinoziali della Terra, in vista di fini agricoli.

“Nelle vicinanze di Bhimbetka – aggiunge Shivaprasad – sorge fra l’altro il più antico sito buddista indiano, Sanchi, dove la tradizione esoterica dei monaci gialli sostiene sia apparso, attorno al 1937, Chakravarti: il misterioso Re del Mondo che abita la città nascosta di Shaballah, per i tunnel della quale si aggirerebbero mezzi simili proprio a “dischi volanti”. La sua apparizione fra rotondi stupa di pietra, costruiti 23 secoli fa dal pentito ed ex-sanguinario sovrano Ashoka, sarebbe stata dettata dall’avvicinarsi di un grave pericolo su cui tuttora ci si interroga”.

LE CAVERNE DEL TANTRA/3



LA TEOSOFIA

Chennai - Baluardo dell’esoterismo ottocentesco, la Società Teosofica di Madras (oggi Chennai) punta nuovamente il dito contro l’Occidente. Non più per criticarne gli eccessi di scienza e tecnologia, quanto piuttosto la supina accettazione di miti imbolsiti. Sarà lo scotto da pagare per l’infausta influenza che la sua fondatrice, un’ambigua russa nota sotto il nome di Madame Blavatskij, esercitò sugli ambienti europei più assetati di palingenesi spirituale: il nazionalsocialismo di Hitler in primis.

Tacciata di millanteria a Londra così come a New York, la visionaria dell’Est fu costretta a riparare nell’umida capitale del Tamil Nadu, attorno al 1882, dove inaugurò un centro di studi filosofico-religioso tuttora fiorentissimo. Credenti hindù, cristiani, islamici, ma anche adepti di Mithra o di Osiride indagano le verità più profonde accanto a filosofi e scienziati di ogni parte del mondo, dal momento che qui dispongono gratuitamente di splendide ville immerse in un immenso orto botanico, tempestato dei templi più svariati.

“Questo è il rifugio ideale per gli amanti della cultura – confessa Alvaro Pedrosa, un microbiologo argentino trasferitosi da dieci anni presso la filiale di Madras – oltre che una culla di democrazia. La nostra biblioteca conserva poi alcuni dei cimeli più preziosi dell’umanità, fra cui una copia dell’antica mappa che Madame Blavatskij portò dal Sud America, nella quale è disegnato un fitto reticolo di tunnel che condurrebbero al cuore di Shangri-La, meglio noto come Shamballah (la “Città degli Smeraldi” in sanscrito). Hitler voleva raggiungere a tutti i costi questo centro iniziatico sotterraneo, ma era prigioniero dello stesso equivoco che ancor’oggi grava sulla maggior parte degli occidentali”.

La ricerca della terra natia degli Ariani, che i manuali di storia vogliono invasori dell’India attorno al 1900-1500 a.C., nonché provenienti dalla steppe asiatiche, prende piede da un’audace ipotesi linguistica dell’indologo tedesco Max Mueller. Poiché gli Ariani parlavano una lingua di ceppo indo-germanico, divenuta improvvisamente predominante su quella dravidica (cioè legata alle genti di colore dell’India), automaticamente venne dedotta la teoria di una loro invasione della penisola subhimalayana, portatrice della cultura vedico-patriarcale e del sistema delle caste.

Recenti scavi archeologici nei siti originalmente occupati dalle popolazioni della valle dell’Indo, quali le città di Harappa, Mohenjo Daro e Mehrgarth (oggi a cavallo fra Pakistan ed India), fanno però propendere per una tesi più verosimile: il trasferimento sulle rive del Gange di una popolazione già multietnica e altamente sviluppata, per via del prosciugamento del precedente bacino fluviale, vera causa dell’adozione di un nuovo assetto socio-economico. Una “rivoluzione copernicana” che costringe a ridimensionare l’etnocentrismo classico dell’Europa, cioè quello fondato sulla cultura greca, riconoscendo all’India un ruolo egemonico di cui, piano piano, oggi si sta comunque riappropriando. Tant’è che pare meglio far orecchie da mercanti.

LE CAVERNE DEL TANTRA/2



L'EROTICA INDIANA

C’è di che arrossire a Khajuraho. Più per il voyeurismo occidentale, che per gli acrobatici numeri erotici delle delicate apsara, fanciulle dall’intonsa bellezza scolpite su 25 templi in perfetto stile Nagara. Nella regione del Madhya Pradesh sopravvivono infatti le spoglie luminose di una civiltà che, fra il IX ed il X secolo, seppe sublimare la”joie de vivre” in un’arte ancor’oggi senza pari. Gli scalpelli dei Chandella hanno plasmato l’arenaria in un tripudio di divinità, ninfe, giovani amanti ed arditi guerrieri, che riempiono la foresta - da cui furono inghiottiti sino al 1838 - di muti sospiri, così come di lascivie preghiere. Un’esuberanza capace di oscurare persino il raffinato simbolismo architettonico del sito, nel quale piante quadrate e rotonde si sovrappongono per decretare la congiunzione fra terra e cielo, le celle interne scuriscono ancor più del grembo materno, le ogive s’inarcano come membri gonfi di desiderio. Troppo per i mussulmani che, qui giunti, sfigurarono tali oscenità; troppo per gli ufficiali vittoriani, imbarazzati persino dalle gambe dei tavoli: Khajuraho è stato e resta enigmatico specchio di estremi.

“Non esiste sito migliore in India per cogliere la connessione fra la nostra mitologia e la nostra filosofia – spiega Chobi, custode di uno dei templi dell’ala est – poiché proprio qui si tentò di ricostituire metaforicamente il corpo di Purusha, il gigante primordiale simbolo dell’uomo perfetto, smembrato per originare l’universo: bastino come prova le due figure poste agli ingressi di ciascun monumento, incarnazione dei fiumi sacri Ganga e Yamuna; secondo la fisiologia hathayoga, questi scorrono infatti ai lati della colonna vertebrale e rappresentano l’androginia delle polarità maschile e femminile”.

Per via dei suoi richiami all’erotizzazione del cosmo, il complesso è stato così definito “tantrico”, subendo di riflesso la condanna morale di quanti vedevano in questa “bassa” filosofia d’estrazione popolare una semplice degenerazione dei costumi, oltre che una minaccia all’ordine brahmanico delle caste, detentore dell’ultima parola in materia religiosa. Eppure, il fatto che i templi fossero utilizzati proprio dai brahmani per raccogliere soldi fra i fedeli, attraverso le sin troppo ardite performance delle loro danzatrici sacre, getta un’ombra di sospetto che spinge a rileggere, se non a riscrivere, la storia stessa dell’India e dei suoi tabù.

LE CAVERNE DEL TANTRA/1



LE CAVERNE DEL TANTRA

Agra - In India non si va, si torna. Anche qualora si tratti del primo viaggio all’ombra del Taj Mahal o fra le verdi jungle del Kerala. Il suo immaginario e la sua eredità culturale alimentano da tempi così immemori i sogni dell’Occidente, che chiunque ne calchi oggi il suolo avverte inevitabilmente la sensazione di esser “già” stato lì, fra note di sitar e profumi di sandalo, fra sari colorati e mantra ipnotici avvolti da inebrianti incensi: semplici suggestioni, forse; o forse scherzi della metempsicosi, che presiede il ciclo karmico di ognuno di noi; o ancora, e piuttosto, il segreto mistero di un terra che trasuda un inspiegabile aroma di familiarità cosmopolita. Ancor più, quando un viaggio si pone deliberatamente sulle orme di un bizzarro console francese dell’Ottocento, certo Louis Jacolliot, ossessionato dall’idea di trovare tracce concrete del mitico Shangri-La, isola di puri piaceri e cristallina conoscenza che, all’origine della storia, pare essersi inabissata in qualche punto dell’Asia himalayana. D’altronde, neppure Indiana Jones rimase immune al suo fascino esoterico, visto che, nel secondo episodio della sua saga, la leggenda citata nell’antichissimo “Codice di Manu” finì per accendere nell’archeologo l’ambiguo desiderio di conquistarsi “fortuna e gloria”.

Così ha dunque preso forma il mio viaggio, spingendomi lontano dall’India brahamanica del Rajastahn e delle nostalgie moghul di Agra, per invitarmi piuttosto a scandagliare il fondo di una tradizione più atavica: dalla città santa di Varanasi, sull’asmatico Gange, ho interrogato il cuore segreto del buddismo negli stupa di Sanchi, cercando via via indizi fra pitture rupestri preistoriche (Bhimbetka), siti archeologici (Hampi) e templi scavati nelle viscere delle montagne (Ellora, Badami): il tutto, nel tentativo di trovare una risposta plausibile a quelle occulte allusioni evocate nell’immensa biblioteca della Società Teosofica di Madras, così come negli “scandalosi” riti perpetuati nel Sud dravidico. Un percorso trasversale all’India classica, rapito dall’eco che questa tradizione ha saputo propagare nello sciamanesimo siberiano, così come fra i monaci della Mongolia o sotto le piramidi Maya, sino al monte Uluru adorato dagli aborigeni australiani: viaggi che riconducono il passo verso il medesimo epicentro. L’India antecedente i grandi testi sacri. L’India pre-vedica, appunto.

Eppure tomi polverosi, monumenti dimenticati e luoghi sperduti, non hanno fatto altro che riportare gradualmente la mia attenzione sulla contraddittorietà del presente, consentendomi di leggere nello spazio cosmico di terre segrete e cunicoli nascosti la trasposizione simbolica di una dimensione ben più accessibile: quella del corpo umano, inteso come l’unico e vero tempio nel quale è riposto il senso ultimo dell’essere. Il Tantra, filosofia yoga che ruota proprio attorno al concetto di sessualità e sacralità del corpo, si è cioè rivelata un’insospettabile lente per cogliere la contiguità fra tempi mitici e tempi odierni, consentendomi di apprezzare il suo messaggio di liberazione nelle sfaccettature più disparate.

L’India di oggi è sì un paese in grande sviluppo, all’avanguardia soprattutto per le tecnologie informatiche del ricco bacino di Bangalore (“la nuova Silicon Valley”), ma costretto ancora a guardare la morte per strada e a trovare un senso alla povertà più umiliante. Al di là dell’abolizione delle caste nel nuovo Codice civile, promulgato nel 1954, la società hindù conserva infatti forti segmentazioni che rallentano, se non addirittura impediscono, l’abbattimento d’ingiustificati status elitari e il neutro mettersi in gioco delle qualità personali.

Non è dunque un caso se, nei secoli, il Tantrismo abbia offerto un modello di sviluppo alternativo all’ordine vigente, di stampo vedico-brahamanico, lottando per l’equiparazione dei diritti della donna e dell’uomo, difendendo le istanze ecologiche di fronte alla distruzione di risorse reclamate da un business sempre più arrembante, saldandosi a movimenti d’emancipazione, fra cui un curioso marxismo eclettico: ultima metamorfosi che vede, nelle rivendicazioni del Sud dravidico, l’originale controrisposta alla modernizzazione coercitiva cui il Paese è oggi soggetto. Shangri-La, Shamballah, o comunque la Tradizione abbia voluto chiamare la terra delle delizie perdute, essa si rivela soprattutto il luogo di convergenza di un sapere profondo, dunque temuto e spesso osteggiato, in virtù del quale l’uomo è chiamato a farsi nuovamente artefice del proprio destino. O, come recita l’antico leit-motive indiano, “a penetrare oltre la soglia del divino principio che alberga nell’inconsapevolezza del Sé”.