"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

martedì 12 luglio 1977

L'ULTIMA FERMATA, OVVERO LA CAREZZA.

Avvertii subito la sensazione di essere tornato a casa. Chissà perché. In fondo si trattava solo della stazione periferica di un paesino sperduto, immerso in un sonno profondo quanto i misteri della culla. L'ora tarda aveva indubbiamente contribuito a creare un clima d'intimità all'interno della sala d'aspetto, ove singolari figure si erano raccolte per trascorrere la notte, più che per attendere le corse successive.

Un ubriaco, il cui pesante russare copriva persino il ticchettio dell'orologio a muro, si era disteso lungo la fila di sedili traforati che disegnavano il perimetro della stazione; poco più in là, rannicchiata vicino a una colonna dall'intonaco scrostato, una vecchietta era intenta a mettere ordine in alcuni sacchetti di plastica. Lungi dall'invadere i loro appezzamenti, decisi di assestarmi su un trenino in legno che, durante il giorno, doveva essere preso d'assalto dai bambini più irrequieti: le prime tre carrozze erano ampie a sufficienza per imbastire un letto di fortuna, mentre il vagone ristorante avrebbe ospitato senza problemi l'enorme zaino che mi trascinavo ovunque.

Scrupolo del tutto inutile. Preannunciati da risa incontenibili, due monelli balzarono fuori dalla gradinata che conduceva ai binari e, scartandosi reciprocamente, conclusero una fulminea azione di football calciando con violenza al centro della sala. La pallina di carta, ormai logora, sfiorò la paccottiglia della donna e andò a conficcarsi nell'intercapedine della macchinetta per il rilascio dei biglietti. In un battito di ciglia si fecero seri e maturi: "tanta bravura per nulla!" – commentò il più
grande con stizza. A testa china raggiunse l'ubriaco sulle seggioline, portò le mani alla testa, simile a un pensatore dell'antica Grecia, e rimase chinato sulle ginocchia con fermezza granitica. Dal lato opposto, il suo amico lo fissava assorto. Per un attimo credetti che il tempo si fosse fermato, fotografando la trascurata armonia di un'improbabile famigliola notturna.
La vecchietta aveva infatti rivolto uno sguardo accondiscendente ai due giocatori, accarezzandoli con la pacata saggezza dell'età, quasi volesse prevenire una reazione un po’ sgarbata da parte dell'uomo macilento.

Di tanto in tanto, la porta a vetri scorrevole si apriva, introducendo sulla scena nuovi personaggi per apparizioni fugaci. Sembrava di sedere a teatro, a una di quelle stupende commedie dell'assurdo in cui erano gli emarginati e i bizzarri ad accattivarsi la simpatia della platea, ironizzando sulle loro piccole tragedie quotidiane.

"Come mai non dormi?" – domandò il più grande dei due monelli - "Hai riordinato le tue cianfrusaglie per ore, come se dovessi accamparti qui per sempre, e poi te ne stai lì ritto a fissare il vuoto".
Era sbucato alle spalle senza fare rumore. Il suo compagno gli stava accanto divertito, giochicchiando con un accendino raccattato in qualche cestino dei rifiuti.
"Non so. Sono contento di trovarmi qui, in vostra compagnia. E' da settimane che continuo a viaggiare ininterrottamente, vagando di porto in porto alla ricerca di qualcosa che non sono mai riuscito a trovare. E ora, quasi per caso, sento che trascorrerei volentieri molto tempo in questa stazione".
"Ti siamo simpatici? Ehi Billy, abbiamo un nuovo amico!". Il bimbo con l'accendino s'illuminò di gioia: tenne la fiamma accesa per qualche secondo e rise di gusto. Anche la vecchietta ci fissò soddisfatta.

"Cosa intendevi dire, prima, quando hai gridato "tanta bravura per nulla"? Ti piacerebbe diventare un giocatore professionista?"
"E' giusto un sogno. Non ho mezzi, né istruzione. Mi hanno abbandonato quando avevo la sua età! - e indicò amareggiato Billy, i cui grandi occhi azzurri pendevano dalle sue labbra. Benché mi avessero affidato in custodia a un signore con una pancia smisurata, ho preferito darmela a gambe: meglio vivere per proprio conto, che accanto a una persona insulsa”. Sbuffò. Non andava fiero della sua vita passata. L'unica vera consolazione, per quanto non volesse darlo a vedere, era stato l'incontro con Billy, certo più sfortunato di lui e molto più fragile. Lo trattava come un compagno di sventura, ma era un bambino. Lo sapeva bene: inconsciamente si sentiva in dovere di proteggerlo e se talvolta rimediava qualche barretta al muesli, il pezzo più grosso spettava sempre a lui.
"Abbiamo girato un sacco di stazioni - riprese con spavalderia – finché il caso ha voluto che proprio questa divenisse la nostra casa. Non chiudono mai, neppure di notte. Inoltre conosciamo tutti gli habitué del posto: ad esempio quell'ubriaco, che vedi là steso, ci racconta un sacco di storie spassose, mentre Babuccia una volta ha messo in fuga dei tipacci: volevano rubarci un coltellino, ma lei si è messa a gridare e li ha spaventati. E' in gamba, Babuccia!"
"Già! In gamba la nostra Babuccia" - fece eco Billy, annuendo a braccia incrociate.

La stanchezza iniziava a pesarmi sulle palpebre, ma era ormai impossibile accomiatarsi dai due. Volevano sapere dei miei viaggi, delle località strane che avessi mai visitato, della mia vita. La curiosità li divorava. Alla fine ritenni più opportuno girare le domande rivoltemi senza interruzione, in modo tale che potessi sonnecchiare a occhi aperti, mentre si sforzavano di ricordare le loro avventure. Billy insisteva nel dire che il suo compagno era ancora più bravo dell'ubriacone nel raccontare certe storie. Lui si schermiva, ma dentro di sé gongolava per quei piccoli riconoscimenti. "Dai, raccontagli di quella signora! Sei così poetico quando parli di lei". Arrossì, ma trovò infine il coraggio di confidarsi.      
 
"Beh…ho delle immagini confuse e poi lo sai che mi commuovo. Ricordo il suo volto, il suo profilo inondato dalla calda luce di un tramonto come tanti altri. Ricordo il suo sguardo, che un tempo aveva scintillato in occhi d'ambra, sino al giorno in cui si smarrì nell'ultimo volo delle rondini estive, senza fare più ritorno. Di fronte alla tavola sfatta, su cui non rimanevano che inquietanti spoglie di una grigliata insipida, la sua figura stava accasciata sulla vecchia sedia di paglia. Immota, quasi presentisse l'avvicinarsi di un istante fatidico, lasciando che solo i suoi capelli fini e diradati assecondassero le danze della brezza serale".

Era sconvolgente. Riuscivo persino a udire il sibilo suadente degli steli d'erba, cullandomi sulle note ingenue della sua giovane voce. La brezza era stata una vera e propria benedizione dispensata dopo giorni d'afa insistente, che avevano dapprima costretto la donna su un divano di raso purpureo, quindi in un letto dalle ruvide lenzuola di cotone, come se la pelle ingiallita e grinzosa dovesse abituarsi gradualmente ad asprezze di ben altro genere.

"Parlava poco, lei così loquace; sorrideva ancor meno, ma mi dicevano che di nascosto, nell'intimità della sua mente sagace, aveva iniziato a interrogare i moti degli astri, i cachinni – sì proprio questa era la parola che usavano - delle  fronde di quercia, i colori stinti dell'alba di pianura". Billy aveva ragione. Il suo amico era un pittore nato: vidi chiaramente lo sguardo della donna mentre tornava a posarsi sulle briciole della cena, che disordinatamente affollavano la tovaglia macchiata. Con un’impercettibile contrazione delle labbra, pareva essersi indispettita del fatto che in nessun modo, comunque le si osservasse, potessero essere raccolte in un'ipotetica forma geometrica. Abituati a scorgere allusioni e assonanze in grappoli di lettere morte, se non arcane formule nella successione di cifre cieche, quelle briciole, loro malgrado, manifestavano il tragico destino della casualità! Erano sopravvissute alla vorace ingordigia del tempo e presto sarebbero state spazzate via da un breve colpo di vento, venendo dimenticate per sempre.

Eppure, proprio ora che lo scorcio di una vita a fior di pelle iniziava a farsi abbagliante per occhi stanchi e velati, erano le piccolezze quotidiane ad alimentare il calore del ricordo: "la spesa dal vecchio prestinaio, l'odore del tè servito sempre con una punta di miele, la trasmissione televisiva condotta dall'impareggiabile re del quiz. Frammenti di un'esistenza scomparsa chissà dove, ormai invisibile, ma in ogni caso percepibile nello scorrere impetuoso del sangue per le vene.

"Non era sola, non lo era mai stata – proseguì con gli occhi umidi in cerca delle rotaie - benché, tutt’attorno, i suoi cari si affaccendassero ai fornelli o al lavabo; ma quel tramonto non poteva che appartenere a lei sola. I richiami della sera, le moine delle betulle e le parole più dolci la sfioravano con la stessa fragile delicatezza profusa dai petali dei mandorli d'Oriente”. L'incanto suscitato dalla trascurata bellezza del ciclico ritorno aveva infine assunto la nobile solennità del banale. Non vi erano più confini da oltrepassare, ora, né orizzonti da scoprire: tutto pareva tornare all'abisso dell'origine, con la stessa immediata semplicità che aleggiava sui quesiti dei primi anni. Nel disco tagliato della stella più amata non scorgeva macchie, né irregolarità. Il suo bagliore non respingeva l'occhio del peccatore, costretto a subire l'umiliazione del diniego, a tollerare nell'ombra il decomporsi di vergogne ancestrali; invocava bensì accondiscendenza, affinché il bagno di luce, così a lungo atteso, cancellasse ogni cicatrice e dissolvesse le asperità dei desideri mancati.

"Non vidi mai più nessuno accomiatarsi dal mondo con tanta aristocratica grazia". Timide lacrime solcavano le guance del ragazzo. L'amarezza che, da tempi immemorabili, gli aveva impedito di buttarsi a capofitto sul primo vagone di passaggio, abbandonandosi agli scherzi del destino, era inevitabilmente affiorata. Sinché quell'immagine avesse conservato nella sua memoria il carattere effimero del sogno mancato, della culla perduta, nel mondo non avrebbe scorto altro che squallide stazioni di periferia, lontane anni luce dalla meta desiderata. Eppure, qualora avesse scorto anche un piccolo appiglio cui avvinghiarsi, avrebbe certo trovato la forza per riscattare lo sguardo stanco di Babuccia e i bonari rimbrotti dell'ubriacone

"La ricchezza del legame. L'eredità del tempo". Pronunciai quelle parole quasi inconsciamente. I due monelli mi guardavano seri, probabilmente in attesa di una spiegazione a enigmi dal sentore allettante.
"Più volte ho considerato queste parole con l'astratto distacco del filosofo, utilizzandole quali meri tasselli per pensieri distorti. Come se godessi del privilegio di scrivere della mia vita, o dell'altrui, basandomi solo sui miei sogni, senza occuparmi di viverla sino in fondo. Poi, leggendo il diario di viaggio di un grande uomo, rimasi sorpreso dall'immediatezza di una frase che si legava benissimo a quanto abbiamo vissuto".

I due ragazzini si strinsero accanto, sfiorandomi con i loro capelli spettinati e le loro magliette logore. "Che cosa diceva?"
"Parole semplici: proseguo, dunque, portandomi nello zaino dell'esistenza il testimone dell'amore, della sensibilità e della saggezza affidatemi dall'ultima carezza materna".
Sapete, sembra quasi incredibile che un gesto, un solo fugace gesto, possa racchiudere il significato di una vita intera. Eppure, grazie a esso, riesco a rileggere ora il passato sotto un'ottica più serena. E di quel che ancora faticherei a pronunciare con occhi non arrossati, sono però riuscito a scrivere con vividezza".
"Billy, ti rendi conto? Abbiamo conosciuto uno scrittore!"
“Magari lo fossi! Io sono solo un biografo”.

Si erano avvicinati anche Babuccia e l'ubriaco. Non era notte per riposare, osservarono, e il sole sembrava non voler proprio sorgere. Al gruppo si era fra l'altro aggiunta una certa Simone, provocante cubista di cui il maggiore dei monelli si era da tempo invaghito. Ogni notte, alle tre meno un quarto, faceva irruzione nella stazione, compiacendosi nel veder la meraviglia e la venerazione dipingersi sul volto del ragazzo. Quelle stesse virtù che inutilmente ricercava nei volti paonazzi del pubblico assiepato sotto il palco, in attesa che si mostrasse il suo salvatore. E per quanto non perdesse occasione di schernire il ragazzo, a poco a poco si era convinta che, un giorno o l'altro, sarebbe fuggita proprio al suo fianco. Stringendolo al seno.

"Prima di lasciare mia madre -  scrisse quell’uomo nel suo diario di viaggio - ho accarezzato il suo viso, come da anni non avevo più osato fare. Esattamente nello stesso istante, ho avvertito la sua mano distendersi sul mio volto, morbida e delicata quanto il ricordo della mia fanciullezza. Pochi secondi. Forse un attimo, appena. Ma in quel momento ho avuto l'impressione di essermi fatto specchio della sua immagine. Un'immagine - buffo a ripensarci - di perfetta simmetria. I suoi occhi si sono riflessi nei miei: da un lato, il passato, la memoria, l'origine; dall'altro, il futuro, la possibilità, l'incertezza. E in quella carezza, la soglia spalancata del presente: tutta la sua eredità nel gesto più dolce cui potessi anelare.  

Non ho pianto, perché non volevo tradire quel che allora era stato solo un oscuro presagio. Una paura remota che ho ingenuamente rifiutato, che ho voluto scongiurare con una fuga disperata: mi ero quasi persuaso che la mia lontananza potesse esercitare il magico influsso di un amuleto, rappresentando lo stimolo più ostinato per tener vivo il desiderio di una madre che vuole rivedere il proprio figlio, prima di abbandonarlo per sempre. Confidando in quell'assurda speranza, avrei voluto prolungare in eterno il mio viaggio: più lontano sarei andato, più intenso sarebbe stato l'istinto di sopravvivenza di mia madre.

Non è stato così. Quando l'ho riabbracciata dopo il mio repentino rientro, come un raggio inaspettato che buca le nubi, ha dipinto un fugace sorriso. Quindi il buio dell'inconscio, il vuoto dell'oblio, essendo ormai irrimediabilmente soffocata dai dolori lancinanti del suo male".

I due monelli cercarono l'abbraccio dei loro vicini. Anche Simone, questa volta, non disdegnò di stringere al cuore il suo ammiratore. Ognuno cercava quel calore e quell'affetto famigliare che, in un modo o nell'altro, era stato loro sottratto da una vita beffarda. Non importava da quali strade fossero giunti. Non contava puzzare d'alcool o avere vestiti logori. Destini simili li tenevano legati saldamente, sebbene la scure della fortuna potesse abbatterli o mutilarli in qualsiasi momento. Nessuno, però, si sentiva così insensibile da rifiutare una carezza al vicino, o un buffetto consolatorio. Insieme erano forti. O almeno lo credevano.

"Si è poi chiesto - ripresi - se avesse sbagliato tutto. Se si fosse comportato nel modo più insensato, pur non potendo prevedere una crisi tanto repentina e devastante. E ha pensato a quante parole avrebbe potuto spendere in quegli ultimi giorni al suo fianco. Ha ripensato alla sua carezza e al suo sorriso. Alla profonda stima e all'orgoglio che sempre aveva nutrito nei confronti di lui. Al suo invito a vivere con gioia l'esperienza del viaggio. Un viaggio ben più lungo di quel che potesse immaginare.
Forse non avevano più nulla da dirsi. Forse tutto si era già consumato nell'etereo splendore di quell'attimo tanto soave, quanto irripetibile. E proprio in quel gesto ha voluto riconoscere la sua benedizione, il legame più profondo che unirà per sempre madre e figlio, il passaggio del suo testimone carico di feconda eredità. Ma, soprattutto, il simulacro più sacro di quelle parole che, sono certo, avrebbe voluto sussurrargli: "ti voglio bene". Avrebbe anche potuto aggiungere "fai il bravo", "sii forte", o "tagliati i capelli": in ogni caso custodiva già tutto il suo essere dentro di sé. Da allora in poi, la sua casa divenne il mondo".

Dopo averli accarezzati a uno ad uno, li vidi allontanarsi nel radioso sorriso del alba, tenendosi per mano. Fu quella la loro ultima fermata e la prima, titanica bugia cui avessero mai prestato fede.