LA TEOSOFIA
Chennai - Baluardo dell’esoterismo ottocentesco, la Società Teosofica di Madras (oggi Chennai) punta nuovamente il dito contro l’Occidente. Non più per criticarne gli eccessi di scienza e tecnologia, quanto piuttosto la supina accettazione di miti imbolsiti. Sarà lo scotto da pagare per l’infausta influenza che la sua fondatrice, un’ambigua russa nota sotto il nome di Madame Blavatskij, esercitò sugli ambienti europei più assetati di palingenesi spirituale: il nazionalsocialismo di Hitler in primis.
Tacciata di millanteria a Londra così come a New York, la visionaria dell’Est fu costretta a riparare nell’umida capitale del Tamil Nadu, attorno al 1882, dove inaugurò un centro di studi filosofico-religioso tuttora fiorentissimo. Credenti hindù, cristiani, islamici, ma anche adepti di Mithra o di Osiride indagano le verità più profonde accanto a filosofi e scienziati di ogni parte del mondo, dal momento che qui dispongono gratuitamente di splendide ville immerse in un immenso orto botanico, tempestato dei templi più svariati.
“Questo è il rifugio ideale per gli amanti della cultura – confessa Alvaro Pedrosa, un microbiologo argentino trasferitosi da dieci anni presso la filiale di Madras – oltre che una culla di democrazia. La nostra biblioteca conserva poi alcuni dei cimeli più preziosi dell’umanità, fra cui una copia dell’antica mappa che Madame Blavatskij portò dal Sud America, nella quale è disegnato un fitto reticolo di tunnel che condurrebbero al cuore di Shangri-La, meglio noto come Shamballah (la “Città degli Smeraldi” in sanscrito). Hitler voleva raggiungere a tutti i costi questo centro iniziatico sotterraneo, ma era prigioniero dello stesso equivoco che ancor’oggi grava sulla maggior parte degli occidentali”.
La ricerca della terra natia degli Ariani, che i manuali di storia vogliono invasori dell’India attorno al 1900-1500 a.C., nonché provenienti dalla steppe asiatiche, prende piede da un’audace ipotesi linguistica dell’indologo tedesco Max Mueller. Poiché gli Ariani parlavano una lingua di ceppo indo-germanico, divenuta improvvisamente predominante su quella dravidica (cioè legata alle genti di colore dell’India), automaticamente venne dedotta la teoria di una loro invasione della penisola subhimalayana, portatrice della cultura vedico-patriarcale e del sistema delle caste.
Recenti scavi archeologici nei siti originalmente occupati dalle popolazioni della valle dell’Indo, quali le città di Harappa, Mohenjo Daro e Mehrgarth (oggi a cavallo fra Pakistan ed India), fanno però propendere per una tesi più verosimile: il trasferimento sulle rive del Gange di una popolazione già multietnica e altamente sviluppata, per via del prosciugamento del precedente bacino fluviale, vera causa dell’adozione di un nuovo assetto socio-economico. Una “rivoluzione copernicana” che costringe a ridimensionare l’etnocentrismo classico dell’Europa, cioè quello fondato sulla cultura greca, riconoscendo all’India un ruolo egemonico di cui, piano piano, oggi si sta comunque riappropriando. Tant’è che pare meglio far orecchie da mercanti.
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