"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

lunedì 13 novembre 2006

LE CAVERNE DEL TANTRA/1



LE CAVERNE DEL TANTRA

Agra - In India non si va, si torna. Anche qualora si tratti del primo viaggio all’ombra del Taj Mahal o fra le verdi jungle del Kerala. Il suo immaginario e la sua eredità culturale alimentano da tempi così immemori i sogni dell’Occidente, che chiunque ne calchi oggi il suolo avverte inevitabilmente la sensazione di esser “già” stato lì, fra note di sitar e profumi di sandalo, fra sari colorati e mantra ipnotici avvolti da inebrianti incensi: semplici suggestioni, forse; o forse scherzi della metempsicosi, che presiede il ciclo karmico di ognuno di noi; o ancora, e piuttosto, il segreto mistero di un terra che trasuda un inspiegabile aroma di familiarità cosmopolita. Ancor più, quando un viaggio si pone deliberatamente sulle orme di un bizzarro console francese dell’Ottocento, certo Louis Jacolliot, ossessionato dall’idea di trovare tracce concrete del mitico Shangri-La, isola di puri piaceri e cristallina conoscenza che, all’origine della storia, pare essersi inabissata in qualche punto dell’Asia himalayana. D’altronde, neppure Indiana Jones rimase immune al suo fascino esoterico, visto che, nel secondo episodio della sua saga, la leggenda citata nell’antichissimo “Codice di Manu” finì per accendere nell’archeologo l’ambiguo desiderio di conquistarsi “fortuna e gloria”.

Così ha dunque preso forma il mio viaggio, spingendomi lontano dall’India brahamanica del Rajastahn e delle nostalgie moghul di Agra, per invitarmi piuttosto a scandagliare il fondo di una tradizione più atavica: dalla città santa di Varanasi, sull’asmatico Gange, ho interrogato il cuore segreto del buddismo negli stupa di Sanchi, cercando via via indizi fra pitture rupestri preistoriche (Bhimbetka), siti archeologici (Hampi) e templi scavati nelle viscere delle montagne (Ellora, Badami): il tutto, nel tentativo di trovare una risposta plausibile a quelle occulte allusioni evocate nell’immensa biblioteca della Società Teosofica di Madras, così come negli “scandalosi” riti perpetuati nel Sud dravidico. Un percorso trasversale all’India classica, rapito dall’eco che questa tradizione ha saputo propagare nello sciamanesimo siberiano, così come fra i monaci della Mongolia o sotto le piramidi Maya, sino al monte Uluru adorato dagli aborigeni australiani: viaggi che riconducono il passo verso il medesimo epicentro. L’India antecedente i grandi testi sacri. L’India pre-vedica, appunto.

Eppure tomi polverosi, monumenti dimenticati e luoghi sperduti, non hanno fatto altro che riportare gradualmente la mia attenzione sulla contraddittorietà del presente, consentendomi di leggere nello spazio cosmico di terre segrete e cunicoli nascosti la trasposizione simbolica di una dimensione ben più accessibile: quella del corpo umano, inteso come l’unico e vero tempio nel quale è riposto il senso ultimo dell’essere. Il Tantra, filosofia yoga che ruota proprio attorno al concetto di sessualità e sacralità del corpo, si è cioè rivelata un’insospettabile lente per cogliere la contiguità fra tempi mitici e tempi odierni, consentendomi di apprezzare il suo messaggio di liberazione nelle sfaccettature più disparate.

L’India di oggi è sì un paese in grande sviluppo, all’avanguardia soprattutto per le tecnologie informatiche del ricco bacino di Bangalore (“la nuova Silicon Valley”), ma costretto ancora a guardare la morte per strada e a trovare un senso alla povertà più umiliante. Al di là dell’abolizione delle caste nel nuovo Codice civile, promulgato nel 1954, la società hindù conserva infatti forti segmentazioni che rallentano, se non addirittura impediscono, l’abbattimento d’ingiustificati status elitari e il neutro mettersi in gioco delle qualità personali.

Non è dunque un caso se, nei secoli, il Tantrismo abbia offerto un modello di sviluppo alternativo all’ordine vigente, di stampo vedico-brahamanico, lottando per l’equiparazione dei diritti della donna e dell’uomo, difendendo le istanze ecologiche di fronte alla distruzione di risorse reclamate da un business sempre più arrembante, saldandosi a movimenti d’emancipazione, fra cui un curioso marxismo eclettico: ultima metamorfosi che vede, nelle rivendicazioni del Sud dravidico, l’originale controrisposta alla modernizzazione coercitiva cui il Paese è oggi soggetto. Shangri-La, Shamballah, o comunque la Tradizione abbia voluto chiamare la terra delle delizie perdute, essa si rivela soprattutto il luogo di convergenza di un sapere profondo, dunque temuto e spesso osteggiato, in virtù del quale l’uomo è chiamato a farsi nuovamente artefice del proprio destino. O, come recita l’antico leit-motive indiano, “a penetrare oltre la soglia del divino principio che alberga nell’inconsapevolezza del Sé”.

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