L’ULTIMO GRADINO E’ SEMPRE IL PIU’ DURO
Ulrichsberg in Austria. Goriska Brda nella repubblica Ceca. E ancora: la valle della Roya in Francia, S. Ilario di Nervi in Liguria. All’interno di questo ipotetico quadrilatero, si trovano almeno altre quattro importanti aree paesaggistiche a rischio, che il progetto Alpter si è impegnato a monitorare e tutelare. Nato per contrastare l’abbandono delle aree agricole terrazzate nelle regioni alpine, è solo negli ultimi anni che l’accordo di cofinanziamento europeo “InterregIIIB Spazio Alpino” è riuscito a sensibilizzare le istituzioni su una problematica che, in Italia, investe numerosi siti dislocati proprio lungo l’arco settentrionale del paese. La Liguria è oggi forse la regione simbolo di quest’antica tecnica di coltivazione, che fa leva sulla modificazione dei declivi per guadagnare all’agricoltura gli spazi non concessi in natura: oltre il 20% del suo territorio risulta infatti terrazzato, grazie all’impiego di differenti tecniche. Fra queste, ad esempio, l’alternanza di muretti composti da piccole pietre incastonate, a sostegno delle superfici piane ricavate sui rilievi montuosi, o barriere di minori impatto paesaggistico, composte da un intreccio di vegetazione ed elementi del terreno.
“I fenomeni di abbandono delle aree terrazzate sono in corso ormai dagli anni ’50-’60 – spiega Lisa Garbellini, dottoressa attiva presso l’Istituto di Ricerca per l’Ecologia e l’Economia applicate alle aree alpine (Iralp)- essendo minacciate principalmente da due fenomeni: la trascuratezza nella manutenzione da una parte, l’urbanizzazione dall’altra. Queste aree si trovano spesso in posizioni panoramiche e con una buona esposizione solare, elementi che risultano entrambi appetibili a scopo residenziale. Il nostro istituto ha dunque scelto di farsi partner del progetto, individuando sul territorio lombardo due aree pilota, nella fattispecie in Valtellina (fra i Comuni di Sondrio e Castione) e in Valchiavenna (fra i Comuni di Chiavenna e Prosto)”.
Economia, ambiente e cultura si intrecciano in un mix esclusivo, che fanno purtroppo dei terrazzamenti un patrimonio dalle potenzialità inespresse: durante uno degli ultimi convegni organizzati a Chiavenna (“Le aree terrazzate: un patrimonio da salvare. Il progetto Alpter”), l’archietetto della Regione Veneto Lodatti aveva infatti messo in evidenza il legame che può crearsi fra il risultato paesaggistico di una coltivazione agricola e il ritorno turistico da essa generato (in particolare nel settore enogastronomico), ma anche i rischi idrogeologici derivanti dal mancato presidio (anticamera della scomparsa di molte biodiversità), così come per la possibile destabilizzazione sociale indotta, laddove scompaiano attività ormai perpetrate da secoli.
Si pensi, una volta ancora, alla ricchezza generata dal coltivazione della vite in Liguria, in una zona come le Cinque Terre: la violenza delle precipitazioni e la loro maggior imprevedibilità, resistratasi negli ultimi anni per via dei cambiamenti climatici in corso, stanno accelerando l’azione erosiva delle piogge e degli agenti atmosferici. A risentirne maggiormente – secondo le analisi illustrate dai professori Brancucci e Paliaga del Laboratorio di Geomorfologia applicata (Università di Genova) – sono fra l’altro le piccole proprietà – cioè quelle abbandonate sull’onda dell’urbanizzazione – in quanto incapaci di generare assi di forza di grande resistenza, per via delle loro dimensioni ridotte. A causa della trascuratezza in cui versano, la crescita di vegetazione infestante e la scomparsa delle antiche vie d’accesso rendono sempre più complessa l’effettuazione in loco di rilievi diretti, impedendo di avere una visione sicura e completa della situazione di disagio.
Fortunatamente sembra che ora qualcosa stia cambiando anche sul piano del coinvolgimento istituzionale, grazie all’opera di sensibilizzazione portata avanti proprio da istituti come Irealp o da progetti come Alpter.
“Il 2006 verrà ricordato come l’anno dell’entrata in vigore in Italia della Convenzione Europea del Paesaggio – è stato evidenziato da Damiano Di Simine, presidente di Cipra Italia (la commissione per la protezione delle Alpi) - atto che chiude definitivamente un secolare travaglio, in cui il concetto di paesaggio ha subito un lento spostamento dall’esclusività di pochi al bene comune. Dal paesaggio da recintare in un parco nobiliare, all’iscrizione in una categoria estetica, al riconoscimento tramite un decreto, il paesaggio doveva anche essere il bel paesaggio, da cercare in un altrove popolato di buoni selvaggi, di sereni pastori, di pazienti contadini. Doveva rispondere a definiti canoni enunciati da una cerchia di eletti, nobili terrieri, dotti cultori delle arti, padri costituenti, soprintendenti o pubblicitari. L’esclusività è un fardello che il concetto di paesaggio si è portato addosso fino ad oggi, scavando un solco incolmabile e una reciproca incomprensione tra chi osserva il paesaggio e chi lo costruisce”.
Solo occasionalmente, a seguito di speciali vicende storiche, il paesaggio ha infatti saputo affermarsi come bene condiviso di una comunità, specchio di una identità collettiva, capace di evolvere con essa.
“Sarà possibile salvare e rivitalizzare il paesaggio culturale delle Alpi – si chiede ancora De Simine - o quello che ne resta? Quali sono le coordinate, i limiti e gli strumenti con cui condurre una simile azione di recupero? E confidando nel fatto che questa operazione abbia successo, il suo esito dovrebbe essere più simile ad una riesumazione oppure ad un reinnervamento del territorio con le reti della relazione comunitaria e dello scambio di mercato, con tutti i rischi e le sfide poste da una nuova “invenzione” del paesaggio? Nelle Alpi questa scommessa va giocata, e non solo sui difficili versanti dei vigneti, dei pascoli e dei castagneti caduti vittime dell'abbandono, ma anche nei grandi fondovalle, invasi dalla crescita disordinata di cemento e infrastrutture. La scommessa va giocata rispondendo ai quesiti che di volta in volta essa porrà e non, come è avvenuto finora, lasciando che uomini e donne delle valli alpine dessero risposte individuali, quasi sempre di emigrazione ed abbandono, rispetto ai silenzi della politica”.
La problematica dei terrazzamenti risulta però un banco di prova della capacità europea di ragionare al di là dei particolarismi nazionali, senza tuttavia smarrire il senso delle distinzioni e delle peculiarità: non a caso si sta lavorando per creare un vero e proprio network (gli aderenti all’iniziativa sono oggi circa 80) che favorisca il confronto e lo scambio di esperienze, trovando soluzioni in tempi più rapidi di quanto possa oggi garantire l’impegno istituzionale.
“Per ora siamo ancora in una fase prettamente metodologica nell’approccio al tema – spiegano i ricercatori di Alpter – dal momento che abbiamo proceduto alla raccolta della cartografia esistente e all’esame delle ortofoto aeree, completando il tutto con alcuni rilievi diretti e la costruzione di un Gis (Sistema Informativo Geografico) dedicato alle principali caratteristiche territoriali. La comparazione di dati legati ai fattori naturali, antropici e geologici viene portata avanti sotto il profilo statistico, correlandoli agli episodi di dissesto idrogeologico”.
Entro il 2008 sono comunque attesi i primi risultati decisivi per il progetto. Fra questi, la pubblicazione di un “Atlante dei paesaggi terrazzati dell’Arco Alpino”, che fungerà da carta d’intervento per le improrogabile opere di recupero.
Accanto a questa, vanno ricordate molte altre importanti attività di sensibilizzazione, come quella condotta dalla Fondazione Fojanini o dalla Fondazione ProVinea, il cui direttore Faccinelli si è addirittura impegnato nella candidatura dei terrazzamenti valtellinesi quali patrimonio dell’Umanità e nell’istituzione, da parte dell’amministrazione provinciale di Sondrio, di un fondo rotazione di 4 milioni di euro per il recupero dei terrazzamenti. Fondo di cui i beneficiari possono disporre a tasso zero, laddove strutturino interventi di manutenzione dei versanti terrazzati.
La sfida è tutta aperta.
Ulrichsberg in Austria. Goriska Brda nella repubblica Ceca. E ancora: la valle della Roya in Francia, S. Ilario di Nervi in Liguria. All’interno di questo ipotetico quadrilatero, si trovano almeno altre quattro importanti aree paesaggistiche a rischio, che il progetto Alpter si è impegnato a monitorare e tutelare. Nato per contrastare l’abbandono delle aree agricole terrazzate nelle regioni alpine, è solo negli ultimi anni che l’accordo di cofinanziamento europeo “InterregIIIB Spazio Alpino” è riuscito a sensibilizzare le istituzioni su una problematica che, in Italia, investe numerosi siti dislocati proprio lungo l’arco settentrionale del paese. La Liguria è oggi forse la regione simbolo di quest’antica tecnica di coltivazione, che fa leva sulla modificazione dei declivi per guadagnare all’agricoltura gli spazi non concessi in natura: oltre il 20% del suo territorio risulta infatti terrazzato, grazie all’impiego di differenti tecniche. Fra queste, ad esempio, l’alternanza di muretti composti da piccole pietre incastonate, a sostegno delle superfici piane ricavate sui rilievi montuosi, o barriere di minori impatto paesaggistico, composte da un intreccio di vegetazione ed elementi del terreno.
“I fenomeni di abbandono delle aree terrazzate sono in corso ormai dagli anni ’50-’60 – spiega Lisa Garbellini, dottoressa attiva presso l’Istituto di Ricerca per l’Ecologia e l’Economia applicate alle aree alpine (Iralp)- essendo minacciate principalmente da due fenomeni: la trascuratezza nella manutenzione da una parte, l’urbanizzazione dall’altra. Queste aree si trovano spesso in posizioni panoramiche e con una buona esposizione solare, elementi che risultano entrambi appetibili a scopo residenziale. Il nostro istituto ha dunque scelto di farsi partner del progetto, individuando sul territorio lombardo due aree pilota, nella fattispecie in Valtellina (fra i Comuni di Sondrio e Castione) e in Valchiavenna (fra i Comuni di Chiavenna e Prosto)”.
Economia, ambiente e cultura si intrecciano in un mix esclusivo, che fanno purtroppo dei terrazzamenti un patrimonio dalle potenzialità inespresse: durante uno degli ultimi convegni organizzati a Chiavenna (“Le aree terrazzate: un patrimonio da salvare. Il progetto Alpter”), l’archietetto della Regione Veneto Lodatti aveva infatti messo in evidenza il legame che può crearsi fra il risultato paesaggistico di una coltivazione agricola e il ritorno turistico da essa generato (in particolare nel settore enogastronomico), ma anche i rischi idrogeologici derivanti dal mancato presidio (anticamera della scomparsa di molte biodiversità), così come per la possibile destabilizzazione sociale indotta, laddove scompaiano attività ormai perpetrate da secoli.
Si pensi, una volta ancora, alla ricchezza generata dal coltivazione della vite in Liguria, in una zona come le Cinque Terre: la violenza delle precipitazioni e la loro maggior imprevedibilità, resistratasi negli ultimi anni per via dei cambiamenti climatici in corso, stanno accelerando l’azione erosiva delle piogge e degli agenti atmosferici. A risentirne maggiormente – secondo le analisi illustrate dai professori Brancucci e Paliaga del Laboratorio di Geomorfologia applicata (Università di Genova) – sono fra l’altro le piccole proprietà – cioè quelle abbandonate sull’onda dell’urbanizzazione – in quanto incapaci di generare assi di forza di grande resistenza, per via delle loro dimensioni ridotte. A causa della trascuratezza in cui versano, la crescita di vegetazione infestante e la scomparsa delle antiche vie d’accesso rendono sempre più complessa l’effettuazione in loco di rilievi diretti, impedendo di avere una visione sicura e completa della situazione di disagio.
Fortunatamente sembra che ora qualcosa stia cambiando anche sul piano del coinvolgimento istituzionale, grazie all’opera di sensibilizzazione portata avanti proprio da istituti come Irealp o da progetti come Alpter.
“Il 2006 verrà ricordato come l’anno dell’entrata in vigore in Italia della Convenzione Europea del Paesaggio – è stato evidenziato da Damiano Di Simine, presidente di Cipra Italia (la commissione per la protezione delle Alpi) - atto che chiude definitivamente un secolare travaglio, in cui il concetto di paesaggio ha subito un lento spostamento dall’esclusività di pochi al bene comune. Dal paesaggio da recintare in un parco nobiliare, all’iscrizione in una categoria estetica, al riconoscimento tramite un decreto, il paesaggio doveva anche essere il bel paesaggio, da cercare in un altrove popolato di buoni selvaggi, di sereni pastori, di pazienti contadini. Doveva rispondere a definiti canoni enunciati da una cerchia di eletti, nobili terrieri, dotti cultori delle arti, padri costituenti, soprintendenti o pubblicitari. L’esclusività è un fardello che il concetto di paesaggio si è portato addosso fino ad oggi, scavando un solco incolmabile e una reciproca incomprensione tra chi osserva il paesaggio e chi lo costruisce”.
Solo occasionalmente, a seguito di speciali vicende storiche, il paesaggio ha infatti saputo affermarsi come bene condiviso di una comunità, specchio di una identità collettiva, capace di evolvere con essa.
“Sarà possibile salvare e rivitalizzare il paesaggio culturale delle Alpi – si chiede ancora De Simine - o quello che ne resta? Quali sono le coordinate, i limiti e gli strumenti con cui condurre una simile azione di recupero? E confidando nel fatto che questa operazione abbia successo, il suo esito dovrebbe essere più simile ad una riesumazione oppure ad un reinnervamento del territorio con le reti della relazione comunitaria e dello scambio di mercato, con tutti i rischi e le sfide poste da una nuova “invenzione” del paesaggio? Nelle Alpi questa scommessa va giocata, e non solo sui difficili versanti dei vigneti, dei pascoli e dei castagneti caduti vittime dell'abbandono, ma anche nei grandi fondovalle, invasi dalla crescita disordinata di cemento e infrastrutture. La scommessa va giocata rispondendo ai quesiti che di volta in volta essa porrà e non, come è avvenuto finora, lasciando che uomini e donne delle valli alpine dessero risposte individuali, quasi sempre di emigrazione ed abbandono, rispetto ai silenzi della politica”.
La problematica dei terrazzamenti risulta però un banco di prova della capacità europea di ragionare al di là dei particolarismi nazionali, senza tuttavia smarrire il senso delle distinzioni e delle peculiarità: non a caso si sta lavorando per creare un vero e proprio network (gli aderenti all’iniziativa sono oggi circa 80) che favorisca il confronto e lo scambio di esperienze, trovando soluzioni in tempi più rapidi di quanto possa oggi garantire l’impegno istituzionale.
“Per ora siamo ancora in una fase prettamente metodologica nell’approccio al tema – spiegano i ricercatori di Alpter – dal momento che abbiamo proceduto alla raccolta della cartografia esistente e all’esame delle ortofoto aeree, completando il tutto con alcuni rilievi diretti e la costruzione di un Gis (Sistema Informativo Geografico) dedicato alle principali caratteristiche territoriali. La comparazione di dati legati ai fattori naturali, antropici e geologici viene portata avanti sotto il profilo statistico, correlandoli agli episodi di dissesto idrogeologico”.
Entro il 2008 sono comunque attesi i primi risultati decisivi per il progetto. Fra questi, la pubblicazione di un “Atlante dei paesaggi terrazzati dell’Arco Alpino”, che fungerà da carta d’intervento per le improrogabile opere di recupero.
Accanto a questa, vanno ricordate molte altre importanti attività di sensibilizzazione, come quella condotta dalla Fondazione Fojanini o dalla Fondazione ProVinea, il cui direttore Faccinelli si è addirittura impegnato nella candidatura dei terrazzamenti valtellinesi quali patrimonio dell’Umanità e nell’istituzione, da parte dell’amministrazione provinciale di Sondrio, di un fondo rotazione di 4 milioni di euro per il recupero dei terrazzamenti. Fondo di cui i beneficiari possono disporre a tasso zero, laddove strutturino interventi di manutenzione dei versanti terrazzati.
La sfida è tutta aperta.
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