LE MENTITE SPOGLIE DEI TEMPLARI
Lisbona è astuta. Non ha un centro, non ha un volto definito, si tiene sempre aperta una via di fuga. Alcuni dicono sia per il brivido di sentirsi ad un passo dagli abissi atlantici, altri danno tutta la colpa ai terribili terremoti che l'hanno funestata nei secoli, probabilmente è per il fatto che qui si sono intrufolati gli ultimi cavalieri Templari sopravvissuti ai roghi francesi.
Dietro il suo azzurro ammiccare, che seduce l’immaginario collettivo con i preziosismi bizantini, gotici e manuelini dell’esagonale Torre di Belém o con lo slancio architettonico del cinquecentesco monastero di San Gerolamo (ideato dal genio floreal-decorativo di Diogo De Boitaca), emergono allusioni scultoree ed antiche leggende sottaciute dalla storia, nomi di personaggi legati a misteriose confraternite, che immancabilmente riportano ai Cavalieri di Cristo: secondo nome per indicare il disciolto e ben più noto Ordine dei Cavalieri Templari, veri artefici dell’unificazione portoghese, oltre che ambigui difensori della Terra Santa, i cui segreti tesori hanno finanziato le grandi esplorazioni veliere del XV e XVI secolo. Qualche sospetto sulla loro richezza potrebbe già venire contemplando la possanza romanica della cattedrale-fortezza Sé, costruita nel 1150 per volere di Alfonso Henriques e suggestivamente nascosta nei grovigli moreschi dell’Alfama.
Una volta avvicinata la città sotto una chiave semiotica, diviene inevitabile guardare oltre i suoi confini. I quesiti sollevati dalla visita della capitale trovano infatti un’importante serie di risposte nella cittadina di Tomar, ad appena un’ora di ferrovia da Lisbona, incastonata nella verdeggiante regione del Ribatejo. Costruita sulle pittoresche rive del Rio Nabao, che offrono l’opportunità per piacevoli escursioni su battello verso il vicino lago artificiale di Castelo de Bode, Tomar vanta nel quartier generale dei Cavalieri di Cristo una delle testimonianze europee più insigni dell’epopea medioevale. Non è un caso che questa straordinaria fortezza-convento, edificata nel XII secolo dal gran maestro Gualdim Pais in un intreccio di simbologie esoteriche, cripte iniziatiche e dotata dell’inestimabile Charola a 16 lati (che riproduce la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme), abbia conquistato la fantasia di un grande semiologo come Umberto Eco: abile nel portare il complesso alla ribalta internazionale grazie al successo del libro “Il pendolo di Foucault”.
A completare l’esperienza cavalleresca, resa ancor più suggestiva dall’eco dei passi che, in città, risuona fra le strette vie piastrellate di azulejos, o all’ombra di pittoreschi palazzi secenteschi e chiese dal sapor eretico (con Madonne che allattano a seno scoperto), il Convento De Cristo dà persino modo di partecipare ad una cena rinascimentale in costume: è c’è da scommettere che fra intrattenitori eredi di Gil Vicente, cori, frati predicatori, soldati con alabarde e giocolieri pirotecnici, sognare d’essere un cavaliere sarà tanto facile quanto chiudere gli occhi.
FESTA DOS TABULEIROS
Tomar – Là dove i Templari sono passati, tutto diviene ambiguo. Persino nella celebrazione della Festa dei Vassoi (o dei “tabuleiros” in portoghese), uno degli appuntamenti estivi più folkloristici della regione di Tomar. Per quanto ufficialmente la processione sia dedicata allo Spirito Santo (così vuole infatti la tradizione che attribuisce la paternità dell’evento alla regina Santa Isabella, moglie di Dom Denis nel XVII secolo), sembra in realtà che le sue radici affondino in un antico rito pagano della fertilità. L’intento della festa consiste comunque nel lodare lo Spirito Santo, portando ai poveri il pane dei vassoi, il vino trasportato dai buoi e la carne stesse di questi ultimi, dopo esser stati benedetti dal priore del quartiere: alla sfilata partecipano più di 400 ragazze vestite di bianco (e possibilmente vergini), che portano sulla testa enormi vassoi carichi di trenta pani, decorazioni floreali in cartapesta e con in cima una colomba o una croce templare; il tutto, per l’esorbitante peso di quasi 25 chili. Un rito emigrato nel tempo anche alle Azzorre, per approdare infine negli Stati Uniti ed in Canada, come espressione più tipica della “portoghesità”.
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