"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

venerdì 2 dicembre 2005

IL TAM TAM DELLA SIBERIA/3


SULLA CARDINALITA' DELL'ANIMA

Pare proprio che ogni anima abbia un suo luogo cosmico: nulla a che vedere con strampalati mondi trascendenti; è piuttosto un sentirsi segretamente orientati verso la cardinalità dell’orizzonte. Una consapevolezza che nasce nel momento in cui ci si accorge di aver viaggiato per i quattro estremi del mondo e per i suoi sette mari, o forse un primordiale richiamo inscritto nella propria carne, ben al di là dell’incanutirsi del tempo.

Difficile argomentare una propensione tanto metamorfica: da una parte, l’altrove verso cui si tende effonde malia proprio perché totalmente altro, inarrivabile al passo, remoto ed arcano quanto l’irrazionale desiderio che impone ogni qual sorta di sacrificio; dall’altra avvince semplicemente perché è il nostro più proprio, il nostro da sempre, la culla obnubilata nell’estinguersi dell’ultimo vagito.

Ebbene, quella culla è per noi il nord-est, trasversale e leggermente ambiguo, perché al margine di qualunque incrocio. Là sono gli spazi sconfinati e vergini, i silenzi carichi d’attesa e rotti solo dallo scalpiccio dei bradi nomadi. Là è il verde rigenerante e l’intima pulizia del ritorno a sé, il respiro liberato dalla balsamica frescura della taiga.

Il nord-est non è propriamente il rigore morale dei ghiacci eterni, né il manicheismo della notte e del giorno. Non è neppure il mistero dell’inaccessibile. Seppur immacolato, nelle sue vene scorre l’irrequietudine dell’adolescente, la sete del non compiuto, la pretesa di lanciarsi nella luce albeggiante alla ricerca del loto dischiuso.

La sua dimensione è dunque l’anelito e il suo focolare la tenda, peregrina ma sempre accogliente, grave di ricordi lasciati e al contempo leggera come piume di sciamani danzanti.

Il nord-est ha occhi sottili, perché scruta in lontananza, senza lasciarsi turbare da improvvisi sobbalzi, avendo dentro di sé la grandezza d’animo degli spazi infiniti.

Qui fremono le betulle, come ninfe inviolate al primo audace tocco; qui batte il tamburo sordo e penetrante, rimbalzando il cuore sino ai remoti confini del noto e dell’ignoto. E’ per questo che le anime del nord-est mai disdegnano di travalicare la propria cardinalità, ma più da essa si allontanano, più avvertono stringersi tutt’attorno una dolce malinconia, tanto simile alla deriva dell’oggi nel domani mancato.

Oltre il nord-est la terra si fa negra e buia, perché là tramontano i sogni dai profondi sospiri.


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