"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

domenica 24 aprile 2011

KLAGENFURT ALLO SPECCHIO


Al Flohmarkt si trova davvero di tutto. Basta avere pazienza, occhio acuto e dita sottili. Sulle bancarelle improvvisate che a fine agosto inondano il centro di Klagenfurt, può capitarti sotto mano il leggendario 45 giri “Der Kommissar” di Falco, datato 1982 e con firma originale del più estroso viennese che il pop conosca, esattamente come un elmetto prussiano dalla punta un po’ storta. E’ vero. Non sempre la mercanzia è perfetta, perché l’appuntamento si rivela più che altro un comodo pretesto per svuotare la cantina di casa, ma la rarità dei pezzi esposti lascia spesso di stucco. Ne sa qualcosa Cesare, che per accertarsi dell’autenticità di una cartolina su cui era riprodotto Franz Josef, quasi s’è fatto lasciare dalla moglie. Come lui, sono sempre più numerosi i collezionisti italiani che approfittano di una sortita oltrefrontiera, per via dell’assenza di professionisti e, conseguentemente, dei prezzi stracciati su cui questo mercatino delle meraviglie ha costruito la sua fama: fortuna che l’abbondanza di wuerstel sfrigolanti e birra Hirter contribuisce a lenire le interminabili ricerche. 
Che sia mattina o sera, durante l’ultimo week-end del mese Klagenfurt pullula di giocolieri in costume, mimi da strada ed ambulanti specializzati in leccornie carinziane, pronti a prendere per la gola quanti vorrebbero invece scatenarsi sui tavoli, battendo il ritmo delle chitarre rock e delle fisarmoniche folk. 
Non sono però la sola sete di rarità, o le tentazioni della cucina, ad instillare nel viaggiatore una sorta di dipendenza verso Klagenfurt. Chiunque nutra una forte passione per le arti ne cade vittima, soprattutto quando si è chiamati a scrivere della sua segreta bellezza e, proprio al Flohmarkt, ci si imbatta in un tomo un po’ impolverato, ma dal titolo inequivocabile: “Realismo fantastico”. Squisito ossimoro che, al di là della finezza retorica, pare conferire un senso fatidico all’ineluttabile ritorno nella città simbolo della Carinzia.


Lo confesso. Per una ragione o per l’altra, non sono mai riuscito a farne a meno. Ho foto di me a tre anni, mentre già sfido gli artigli del grande drago che tiene il municipio in ostaggio; a cinque mi hanno sorpreso sbirciare sotto la gonna di Maria Teresa, provocatoriamente impettita su un alto piedistallo nella Neues Platz. Persino da adolescente sono riusciti a smascherare i miei sospiri infranti, mentre lancio una monetina nella fontana dell’omino con la botte, augurandomi che il fiotto d’acqua da lui liberato faccia scivolare fra le mie braccia la bella Eva. 

Klagenfurt è diventata la mia seconda casa, così come quella di scrittori, pittori, musicisti o scultori, proprio perché capace di parlare a cuore aperto dell’essenza più profonda dell’uomo: si specchia nel lago Woerther come l’io nell’anima cosmica, ne respira la vergine bellezza, ne trasuda i turbamenti nascosti, per poi rifiorire più profumata ed intensa che mai. Viene chiamata “la rosa del Woerthersee”, appunto, e dicono che qualsiasi spirito creativo immerga le narici della curiosità fra i suoi petali, ne resti avvinto per sempre.
L’ultimo di una lunga schiera è il pittore Ernst Fuchs che, caso vuole, viene oggi riconosciuto il massimo esponente del “realismo fantastico”, la corrente artistica cui è dedicato proprio il libro acquistato nelle mie incursioni collezioniste. La stessa corrente che ha ispirato la sua mano nella decorazione di una cappella interna alla chiesa parrocchiale, intitolatagli lo scorso ottobre direttamente dalla giunta cittadina.  



Oltre vent’anni di lavoro ha richiesto la rappresentazione della sua Apocalisse, ma in essa i più angosciosi interrogativi dell’uomo sembrano trovare definitiva risposta. E così il mio eterno ritorno: draghi a sette teste trafitti da una lancia dorata che taglia la luna e il sole; una donna con le ali d’aquila fluttuante sul tetto, mentre un mare rosso sta per riversarsi drammaticamente sull’inerme spettatore; e ancora, templi aztechi, babilonesi e piramidi egizie bramate dagli occhi di Satana, contro il quale s’impone però lo splendore della Gerusalemme celeste: un tripudio di colori invertiti, linee deformate e prospettive sfuggenti, dentro cui trova catarsi l’ansia del nostro mondo alla deriva, in attesa che il caos della fine si raggrumi in un nuovo ordine.

Alle soglie del 2012, anno di profondo rinnovamento per le antiche mitologie, l’uccisione del drago apocalittico nella chiesa di una città che del drago stesso ha fatto il suo simbolo, assume un valore indubbiamente emblematico. Rivela al profano la sua essenza più profonda.
I tanti artisti di Klagenfurt vi riconoscono la titanica lotta portata avanti nei secoli, affinché il loro genio potesse infine liberarsi dalla morsa della mediocrità. La nudità che la signorina Else affida alla penna di Arthur Schnitzler; i turbamenti del giovane Toerless traditi dalle pagine di Robert Musil; i “luoghi eventuali” abbozzati nei versi di Ingeborg Bachmann. 

Tutte le loro ferite, le pieghe delle loro anime, trovano oggi riscatto nell’uccisione del drago, proprio come invocano i fogli ingialliti del Literatur Museum, presso la stazione cittadina; eppure, ad uno sguardo più attento, prendono già forma nella grafia inquieta dei manoscritti lì custoditi, o nelle intime letture di volta in volta suggerite, lasciando trapelare l’incertezza di vivere in una terra immancabilmente sulla soglia: germanica nello spirito, ma quasi slava ai confini e al tempo stesso pervasa dalle provocazioni della latinità. La loro risposta è stata sempre la medesima: Ancora mettiamo entrambi le mani nel fuoco – scriveva la Bachmann - tu per il vino del lungo fermento notturno, io per la mattinale acqua sorgiva, che non conosce i torchi”. E’ dunque l’azzurro del Woerthersee a conservare la purezza del loro sentire, la quieta sovranità delle acque a distillare l’essenza nascosta della città.

Non è un caso che il Lendkanal attraversi per chilometri l’intero tessuto urbano, dalle sponde lacustri sin quasi alla centrale Stauderplatz, irrorando Klagenfurt proprio come un’aorta pulsante: lungo le sue sponde, il verde s’insinua nelle abitazioni dagli aristocratici profili con la stessa freschezza di un respiro a pieni polmoni, mentre gli abitanti passeggiano o corrono seguendo sempre e costantemente lo stesso flusso, quello che porta dritti al lago. La necessità di preservare intatta questa linfa ispiratrice emerge addirittura dall’attenzione per  i battelli usati, alimentati ad energia solare proprio per evitare che una sola particella inquini  il più puro dei tesori cittadini.

Discendere il Lendkanal ha infatti assunto negli anni una dimensione quasi iniziatica, dal momento che il suo tragitto sembra percorrere all’indietro il cammino stesso dell’uomo: costeggia il Minimundus, un parco spettacolare dove le più insigni creazioni della Terra sono ridotte alle dimensioni di un bonsai e l’occhio del neofita si fa grande come quello di un dio; più avanti si attraversa un eden per troppo tempo incustodito, il Reptilienzoo, dove il serpente della prima mela ha ormai preso casa e convive con le specie più velenose del mondo. Le stesse che devono aver trasformato in sculture di pietra gli incauti vagabondi spintisi nei 22 ettari dell’Europapark. E’ l’ultima insidia prima di poter avvicinare la meraviglia del Woerthersee. 

Il mistico azzurro cantato da Georg Trakl. Poco oltre, la presenza di un lido protetto invita infatti a regredire ad una dimensione quasi adamitica, lasciando che i corpi abbandonino le vesti della civiltà, per ritrovare l’abbraccio delle acque materne.
Proprio qui, nei pressi della “spiaggia pubblica” di Klagenfurt, non lontano dal molo da cui partono i battelli per esplorare le baie del Woerthersee e le sue magnifiche ville asburgiche, la penisola di Maria Loretto è pronta a suggellare la discesa iniziatica con una promessa per la vita. 
L’omonimo castello che ne disegna il profilo è stato recentemente riportato ai suoi antichi fasti, recuperando lo spirito gaudente in virtù del quale, nel 1652, il conte Johann Andrae von Rosenberg fece del palazzo una dimora di piacere, impreziosita da rigogliosi giardini all’italiana. Già all’epoca, infatti, l’ammirazione per l’architettura nostrana risultava talmente forte, che Maria Loretto finì per assumere le sembianze dell’Isola Bella sul Lago Maggiore, venendo circondata da una flotta d’imbarcazioni in legno ispirate ai gondolieri veneziani. Nessuna sorpresa se oggi il castello sia  tornato la sede più richiesta per celebrare eventi solenni, così come per scambiarsi il fatidico sì, sia che ci si raccolga di fronte alle candele del ristorante interno o sui prati affacciati verso il Woerthersee.


Con un microclima mediterraneo e temperature che possono sfiorare i 27 gradi, sin da maggio il lago si fa apprezzare per le sue attrattive ricreative e balneari, ma il ruolo giocato nella vita cittadina appare ben più pervasivo: se in estate le sue sponde sono dominate da un proscenio che offre spazi d’esibizione simili a quelli di un antico anfiteatro greco, sono le lunghe wanderung a plasmare davvero il carattere dei residenti. A spingerli sul lago in qualunque condizione, a qualunque ora, in tenuta da running così come a bordo delle canoe, ma sempre all’ascolto del segreto genio che astutamente si cela fra i suoi canneti e i suoi boschi. 

Come i loro illustri predecessori, gli abitanti di Klagenfurt ritrovano nelle passeggiate meditative lungo la promenade il senso più profondo dell’eterna empatia fra lago e città, la meraviglia di una natura che quotidianamente bussa alla porta di casa, quando gli svassi si levano in volo o le ninfee dischiudono il profumo delle idee. Già lo aveva intuito Gustav Mahler, che pur amando il calore degli applausi tributatigli nel settecentesco Stadtteather, non riusciva a comporre in modo grandioso se non in un’appartata casetta in riva al Woerthersee, oggi meta di filosofici pellegrinaggi per via del doppio anniversario che lo ricorda (dopo i 150 anni dalla nascita dello scorso anno, il 2011 celebra i 100 dalla sua scomparsa con numerosi concerti ed esibizioni in città). 

Sono però le parole della malinconica Albertine ad aver reso davvero immortale la promessa che il lago sempre rinnova, ma solo a pochi sa dispensare: “Fu sul Wörthersee, poco prima del nostro fidanzamento, Fridolin; una splendida sera d’estate un bellissimo giovane si fermò davanti alla mia finestra che guardava sull’ampia distesa del prato, ci mettemmo a parlare e durante quella conversazione pensai: che ragazzo simpatico e affascinante – se dicesse ora una sola parola, quella giusta naturalmente …  – stanotte potrebbe avere da me tutto quel che vuole…Ma l’incantevole giovane non pronunciò mai quella parola”.

 

LE SPIAGGE DEL WOERTHERSEE

Con una larghezza di circa due chilometri, occupati quasi per intero dalla “spiaggia” di Klagenfurt, il lato orientale del Woerthersee forma una delle più grandi aree balenabili lacustri d’Europa.  Apprezzato e più volte decantato dall’aristocrazia asburgica, questo lembo mediterraneo nel cuore della Mitteleuropa ha visto crescere enormemente la sua popolarità a partire dal 1924, anno in cui fu ufficialmente istituito il lido della città. Non a caso, oggi, hanno qui luogo diverse competizioni sportive di valore internazionale, fra cui la tappa austriaca del Grand Slam di beach volley (dall’1 al 2 agosto) e la gara di nuoto che rientra nel massacrante triathlon sostenuto dagli Iron Men (3 luglio). Il lido si compone in realtà di tre diverse spiagge: oltre a quella direttamente legata alla città, si distinguono le piccole insenature di Maria Loretto e di Maiernigg, più appartate e dunque più vicine al gusto aristocratico di un tempo. Grazie all’intensità dei suoi colori, alla purezza delle acque e alle numerose ville in stile “lacustre” (progettate da illustri architetti dell’impero come Franz Baumgarten e Josef Viktor Fuchs) , il Woerthersee è diventato negli ultimi anni anche un apprezzato set cinematografico e televisivo: non è infatti raro incontrare sulle sue sponde famosi attori ed eccentrici vip.

L’APOCALISSE DI ERNST FUCHS

Pittore. Poeta. Cantante. Visionario. Gli appellativi si sprecano, ma di certo Ernst Fuchs, classe 1930 (www.ernst-fuchs-centrum.com), è noto a livello internazionale per essere uno dei fondatori del “Realismo Fantastico”, scuola artistica viennese del periodo postbellico. Erede della tradizione espressionista austriaca, ma anche grande rielaboratore delle influenze surrealiste (fra i suoi ammiratori annoverava Salvador Dalì), mescola nelle proprie opere sia simbolismi esoterici che immagini alchemiche, dando vita a mondi e personaggi di fortissimo impatto emotivo.
Recatosi a Gerusalemme oltre mezzo secolo fa per iniziare la decorazione dell’abbazia benedettina della Dormizione, negli anni seguenti ebbe modo di conoscere fra le sue pareti il teologo carinziano Karl Matthew Woschnitz: i due divennero a tal punto amici, che Fuchs decise d’impegnarsi in un titanico progetto artistico a Klagenfurt, interamente dedicato all’Apocalisse. Il risultato, dopo vent’anni di lavoro, è oggi visibile a tutti nella piccola cappella della parrocchiale di St. Egidio. Su una superficie di oltre 160 metri quadri è stato infatti rappresentato quel che lo stesso artista ha definito “un mondo dietro lo specchio dell’inconscio e dell’archetipo, degli spazi sublimi e delle profondità dell’animo umano”. L’impressionante sequenza di affreschi in tempera d’uovo, con inserti d’alluminio e marmo di Carrara, raccoglie tutte le figure iconiche dell’evangelista Giovanni, a partire dalla Madre Celeste al Libro dei Sette Sigilli, senza dimenticare  i Cavalieri dell’Apocalisse o l’Arcangelo Michele. Imperdibile. 

L’AORTA DI KLAGENFURT

Il matrimonio era nell’aria sin dal XIII secolo. Legare Klagenfurt al Woerthersee apparve infatti una necessità strategica già ottocento anni fa, quando gli architetti Heinrich ed Albert Haileck progettarono un canale di comunicazione fra città e lago, onde poter meglio prevenire gli incendi nel centro urbano. Grazie alle notevoli dimensioni, 40 metri di larghezza e 10 di profondità, questo tracciato di oltre quattro chilometri finì però per essere sfruttato come una vera e propria via di comunicazione e trasporto, animando sempre più la vita commerciale della città. Nel periodo d’oro vantava addirittura una flotta di oltre 100 imbarcazioni. Quando poi l’aristocrazia dell’Impero iniziò a trascorrere la propria estate sul lago, il Lendkanal si trasformò in uno dei primi servizi “turistici” di collegamento su acqua in Europa: già nel 1883, smistava oltre 60mila passeggeri all’anno. Nel 2011 è destinato a tornare prepotentemente alla ribalta, grazie al lancio di un nuovo modello d’imbarcazione che sostituirà l’alimentazione elettrica a quella solare, al fine di garantire un servizio ad impatto zero e totalmente silenzioso. Scivolare sulle sue acque sarà dunque un’avventura ancor più delicata che pagaiare in canoa, regalando piena intimità alle coppie dirette verso la romantica penisola di Maria Loretto.  


SAPORI E OSPITALITA’


RISTORANTI



GASTHAUS IN LANDHAUSHOF
Landhaushof 1, Klagenfurt 9020

Si trova al centro di Klagenfurt, nella "Landhaus", il grande palazzo sede della Regione e dove si raduna il governo della Carinzia. Qui si mangia sotto bellissime volte rinascimentali, con portate tipiche a base di selvaggina, pesci d'acqua dolce, cotolette alla viennese, ma anche arrosto di maiale ed omelette sminuzzata con susine cotte. La specialità della casa sono tre combinazioni di bollito presentate con i relativi contorni. A mezzogiorno ci sono menu economici e a cena menu speciali.

SALUD ALM
St. Veiter Straße 9,
9020 Klagenfurt am Wörthersee

Questo nuovo ristorante ha aperto lo scorso settembre nel centro della cittá ed  offre una ricca offerta. Al piano terra si mangia arrosto di maiale con “Sauerkraut” o “Rippalan mit Semmelknödel” (un tipo di gnocchi), mentre al piano inferiore si balla musica schlager, così come hit moderne.

MARTIN BUERGER
Keutschacher Strasse, 33  - 9535 Schiefling, Austria
Tel. 0043.04274/2784

Nelle vicinanze dell’idilliaco Keutschachersee, a non più di una decina di chilometri da Klagenfurt, una familiare gasthof dove concedersi qualche specialità carinziano-slovena. Dai piccanti cevapcici (polpettine grigliate con aromi e spezie, in salsa di peperoni ajwar) alla stuzzicante pjescavitza (sorta di hamburger soffritto su base di cipolle rosse), con gran finale di kaisersmarren (frittelle con marmellata di mirtilli).

ALBERGHI


HOTEL PLATTENWIRT
Friedelstrand 2, 9020 Klagenfurt am Wörthersee

Hotel quattro stelle ricco di tradizione, é situato nella splendida cornice del parco europeo del Wörthersee, a pochi metri dalla spiaggia e dalla fermata dell´autobus per il centro. Nei dintorni ottimi ristoranti per esigenti buongustai, attracco barche, Minimundus, zoo dei rettili e Planetario.

HOTEL RÖSCH
Süduferstrasse 55, 9020 Klagenfurt am Wörthersee

Tre stelle votato al benessere, si trova nella baia orientale del lago Wörthersee, in posizione decentrale, ma comoda per raggiungere il cuore di Klagenfurt, e dispone di lido privato, così come di risorse wellness. Le camere, da poco rinovate ed arredate in stile country o modern business, offrono ogni comfort per qualunque tipo di soggiorno.

PICHLERHOF
Se siete in cerca di pace e relax, quest’antica fattoria sulla collina che domina il Rauschelesee è l’oasi in cui riparare. Si trova nel villaggio di Hoeflein, lungo la strada diretta a Velden-Klagenfurt. Mette a disposizione sia stanze private che appartamenti, con tipiche colazioni a base di succo d’arancia, marmellate artigianali, affettati, uova fresche, paté e formaggi di produzione locale.


giovedì 14 aprile 2011

VITA DA MARSUPIALI


Oasi di meraviglie naturalistiche, sogno proibito dei giovani disoccupati, ma anche nido d’amore per sposini in cerca di rudi emozioni, l’Australia d’oggi è la nuova Terra Promessa del viaggiatore insaziabile. 
Eppure le sue rughe millenarie nascondono un’anima nera come la pece.



Non devi imitarlo! Tu...Tu sei il canguro!”. Sarà pure; ma là dietro la coda proprio non sbuca. Solo due tasche di jeans, ormai piuttosto logore ed impolverate. Barry pretende una metamorfosi al limite dell’impossibile: allungare l’indice e il medio sopra le orecchie, dilatando le narici e balzando a scatti improvvisi, sembra un gioco da ragazzi, ma la goffaggine dell’apprendista finisce per rovinare tutto. Più che ad un marsupiale in allerta, l’uomo bianco somiglia immancabilmente ad un emerito pagliaccio. Incespica nei propri passi, deforma il volto in espressioni imbarazzanti, si dimentica persino di tener dritte le orecchie.
Ed è lento. Lentissimo. Un animale bolso e perdutamente addomesticato, che non meriterebbe pietà alcuna nell’infernale Outback australiano. Eppure Barry non fa una grinza. Mostra di avere una pazienza infinita, invitando a ripetere di continuo l’esercizio, senza dar peso al fatto che la sua lezione stia in fondo rievocando una delle pratiche più sacre per la tribù dei Kaurna. L’esatto opposto di quanto accadeva invece ai suoi avi, costretti a trasformarsi nei cittadini modello di Sua Maestà, più per imperativo morale che per scelta di costume. Furono sufficienti cent’anni; nel 1931 la loro lingua già si era estinta.

I rapporti coi bianchi stanno migliorando – si lascia andare in una delle rare pause al centro culturale Tandanya (www.tandanya.com.au) – ma la diffidenza resta forte. Alcuni di loro continuano ad avvicinarci per mera curiosità. Altri per semplice gusto dell’esotico o anche solo per pietà. Qualcuno, fortunatamente, sembra davvero interessato al nostro stile di vita. Non temiamo più nessuno, in ogni caso: il nostro occhio è tornato a vedere cose che nessun altro può”.
Una scintilla guizza d’improvviso dalle sue palpebre di pece, ma è un fuoco fatuo. Barry sembrerebbe voler confidare qualcosa, spezzare un silenzio più autoimposto che condiviso. Un tormento combattuto che nei bushmen traspare troppo spesso: se le recenti aperture del governo australiano stanno cercando di recuperare una fiducia compromessa da secoli di sprezzo coloniale ed anglicano paternalismo, dall’altra l’aborigeno teme ancora che la terra possa improvvisamente smettere di parlargli.



E’ vero. Nessuno si permette più di portar via i suoi figli, chiuderli in un collegio e ributtarli malamente per strada, qualora non abbiano imparato bene ad impugnare forchetta e coltello. L’era vittoriana è per fortuna alle spalle. Però una televisione, oggi, fa comodo a tutti. Comprare una scatola di bacche sciroppate vale certamente più che spendere ore ed ore a raccoglierle per l’Outback. Seguire una lezione di storia da un computer in rete, lascia letteralmente senza parole: non tanto le vecchie generazioni, quanto gli ultimi arrivati. Nessuno ha più voglia di dar retta ai verbosi segugi del deserto, quando l’indizio più trascurabile può essere rinvenuto con un comodo click. Le arcane storie sul serpente arcobaleno, il Dreamtime, l’origine della propria gente. Fantasie meravigliose, non c’è dubbio, ma un libro le può certo preservare meglio che una mente labile e mortale.
Mio nipote passa le giornate a girovagare per strada – si rammarica Barry – e ha solo in mente di andare a bere con gli amici giù in città, ad Adelaide. Quando cerco d’infondergli gli insegnamenti dei padri dice di annoiarsi. Non ne vede l’utilità. Non so ancora dove io abbia sbagliato: sono stato cresciuto così e so che così è stato sempre. Ora non funziona più, però. Sembra che i giovani abbiano la mente costantemente altrove. Sgranano gli occhi su schermi fluorescenti o per telefonini che producono suoni snervanti, ma se spieghi loro come ritrovare il corpo di un assassino nel deserto è come se parlassi della cosa più banale al mondo. Neppure la morte ha più valore, per loro. E’ semplicemente una delle tante cose che accade. Capita poi che qualcuno ci lasci davvero la pelle, azzuffandosi con qualche testa calda o facendosi investire quando l’alcool ruba loro l’anima: ah, se vedessi poi quegli occhi! Tardi! Si svegliano troppo tardi!”.

Un adepto bianco, per quanto volonteroso, dovrebbe in fondo desistere: mai e poi mai potrà sostituire un nipote scapestrato. Un conto è rendere partecipi di una tradizione, un conto insegnare. Iniziare alla vita. Ciononostante, alternative se ne danno poche. Chi rinuncia a trasmettere il sapere degli avi inevitabilmente lo perde. Se lo dimentica. Oppure si rende conto che non funziona più. Persino il famoso “strong eye”, la capacità di vedere l’anima dentro un corpo o fuori di esso, finisce per indebolirsi. Se un tempo i nativi potevano almeno trovar lavoro come segugi infaticabili della polizia, oggi devono accontentarsi di studiare i movimenti delle formiche solo per capire dove si trovi il pozzo d’acqua più vicino. Le pieghe dei ramoscelli per indovinare se pioverà o meno. Le acute tecniche d’investigazione contro i nemici della comunità si sono cioè trasformate in un blando rimedio per difendersi dalle minacce del cambiamento climatico.
Peccato che ad apprendere queste sbalorditive sottiliezze siano ben spesso i goffi turisti dell’ultima ora, molto più interessati a scovare nel bush la pianta giusta per perdere peso, anziché l’amara sorte che toccherà ai loro mentori. Lo sciamanesimo dei medicine-men è diventato moda. Life-style. Il perfetto surrogato per stupire quelle generazioni che si sono perse Mr. Crocodile Dundee al cinema o in televisione.

Così è per le vie di Adelaide “la colta”, capitale del South Australia che porta il nome della consorte di re William IV (1830-1837); così è all'interno degli innumerevoli pub del “Mull”, presso cui splendide ragazze suonano la furia degli Ac/Dc e fanno schioccare baci ancor più elettrici; e di nuovo lungo i percorsi che attraversano le valli di Barossa e Claire, paradisi di viti e cantine ottocentesche, dove ogni rivendicazione finisce per stemperarsi sotto le forchette di “Skillogalee” (www.skillogalee.com),  storico ristorante che mette tutti d'accordo, perché esattamente al punto di congiunzione fra le due valli. Un tempo si sarebbero impugnati boomerang e lance. Oggi si mangia sugli avanzi delle ossa.  Astuzie d'eredità “british”, che nel nettare di Bacco hanno trovato armi tanto suadenti quanto letali.
Non appena  si fugge dai recinti dorati delle metropoli, l'Australia rivela infatti un volto assai meno rubicondo e compiacente. A Warrapinga, il “posto ventoso nei pressi del fiume”, Barry non è che uno dei tanti Kaurna impegnati a trovare una nuova forma di convivenza fra indigeni e forestieri. Dal 1998, ogni giorno lotta affinché il centro culturale Tandanya continui a sorbire la linfa delle umide terre su cui si davano appuntamento i suoi padri, qui usi a celebrare il walkabout che guidava dalle colline alla costa. 
Al di là dell'integrazione politica, che segna passi a corrente alternata, è sul piano culturale che si gioca la grande sfida all'integrazione australiana. Pur di non vagare alcolizzati per le vie di città, o piuttosto che ritrovarsi chiusi come bestie nelle riserve del governo, i nativi si sono messi a lottare con ogni mezzo lecito: hanno aperto una radio che trasmette negli innumerevoli dialetti delle proprie genti, “101.5 Fm Nunga Wangga” (www.radio.adelaide.edu.au); si sono organizzati in un network di operatori locali (www.indigenoustourism.australia.com) che punta a far conoscere i costumi tribali attraverso esperienze in comunità, insegnando una volta la danza del canguro, un’altra avviando alle cure erboristiche, esattamente come all'ascolto dei miti ancestrali attorno al fuoco; hanno lanciato addirittura una trasmissione televisiva intitolata “Outback Café” (www.theoutbackcafe.com), grazie a cui lo chef Mark Olive ha rivelato le sorprendenti virtù della cucina tribale e, a suon di bush cocumber e desert lime, alimenta ora un canale d’approvvigionamento economico fondato sul rispetto dello stile di vita autoctono. 

Passi piccoli, certo, ma incredibilmente preziosi per il riconoscimento di quelle etnie che per secoli hanno subito angherie d’ogni sorta, benché occultate da un odioso muro d’omertà. A tal punto che, ancor oggi, dar troppo spazio alle voci fuori dal coro può costare il rilascio del visto australiano, sotto la voce “ospite non gradito”. Poco importa se, durante l’inaugurazione delle Olimpiadi di Sydney 2000, si fosse fra coloro che disegnarono nei cieli un  rammaricato “sorry” appellandosi all'etereo candore dei nembi. Né mette il cuore in pace un aereo Qantas dipinto a pallini colorati, giusto per scimmiottare l'arte aborigena, ma sotto sotto mossi da gretti interessi di marketing. Qualunque tipo di scusa non restituirà certo quella “Lost generation” che fu vittima inerme della saccenteria coloniale. Neppure l’amabile “fair play” odierno.



L'Australia continua infatti a crogiolarsi in un'immagine di sé neutra, di Paese dove solo la natura è padrona e la storia “giovane”, benché le tribù originarie rappresentino la più antica forma di civiltà presente sull'intero globo terrestre. Gli stessi storici sono ancora incerti se farla risalire a 40 o 60mila anni fa, se non addirittura oltre.
Allora si va nel Nuovissimo Continente per nuotare accanto alle balene, come capita lungo le coste della penisola di Eyre, oppure per saltellare giubilanti accanto ai wallabies di Kangaroo Island, il piccolo eden scoperto solo nel 1802 dall'esploratore inglese Matthew Flinders. Sì, proprio quello che dà il nome ad un'altra area di spettacolari conformazioni geologiche, i Flinders Range a nord di Adelaide.

Un terzo del territorio dell'isola è riservato a parco nazionale di conservazione florofaunistica, facendone il posto ideale l’osservazione degli animali in un habitat vergine, ove si contano almeno 30 diverse specie - oltre alle 250 di uccelli e le 850 di piante - fra cui il Tammar Wallaby, il Brushtail Possum e la Short Beached Echidna, senza però dimenticare gli immancabili koala, i buffi canguri e, soprattutto, le ampie colonie di foche marine. A volte basta lasciarsi guidare dal loro forte odore salmastro per scoprirle paciosamente accoccolate sugli scogli, magari nei pressi del mastodontico Admiral Arch: parabola granitica che rappresenta una delle mete immancabili di qualunque pellegrinaggio a Kangaroo, insieme alla plasticità spettacolare delle Remarkable Rocks, alla romantica solitudine di fari ottocenteschi quali il Cape de Coudic, o ancora alle vergini radure del fiume Rocky.
Immancabilmente l'accento sulle mirabilia locali finisce però per ricadere su dettagli che dall'uomo rimandano all'animale, dalla storia alla natura, a mo' di una censura subconscia. Non una parola spesa sulla nascita mitica di Wilpena Pound (www.wilpenapound.com.au), anfiteatro naturale dal diametro simile ad un enorme vulcano - sulla strada che porta al cuore del Continente - dove paiono aver trovato rifugio tutti i tesori della Terra: jeep cingolate o aerei di bassa quota si affannano in ogni modo a trovare nuove prospettive d'esplorazione, ma la risposta più convincente resta ancor oggi l'antico racconto adyamanthana.

Wilpena Pound altro non sarebbe che il frutto dell'ingordigia di due serpenti giganti, incapaci di muoversi dopo aver divorato troppi uomini, responsabili della pigmentazione della terra per via del sangue versato. Altrettanto sidereo e distaccato appare il cielo sopra il santuario di Arkaroola, punto d'osservazione astronomico alle propaggini dell'anima più selvaggia d'Australia, il deserto dell'Outback.
Qui lo stupore è tutto per i piatti fumanti di canguro, emu o cammello, cucinati lungo la strada che guida al Prairi di Parachilna (www.prairiehotel.com.au), oppure per le sue incredibili stanze scavate nella viva roccia e dotate dei più sofisticati sistemi di teleriscaldamento. Soluzioni esaltate anche presso il Desert Cave Hotel di Coober Pedy, la capitale dell’opale australiana (www.desertcave.com.au).
Ma il santuario di Arkaroola, fondato nel 1960 da una coppia di ecologisti su una superficie di oltre 610 kmq, dovrebbe spingersi assai più in là dello sforzo di ricostruire un habitat avvelenato dalla mano dell'uomo: picchi vertiginosi, gole dalle acque sorgive e timidi wallabies dalle zampe gialle, sono in realtà riflessi di quel mondo onirico da cui tutto ha avuto origine, il “Dreamin' time” degli Aborigeni; o detto con parole loro, il “Tjukurpa”, il “Djugur”, la “Altyerre”, e mille altri ancora potrebbero essere i suoi appellativi, innumerevoli come le stelle e vertiginosi quanto gli sbadigli sacri.

E' infatti da questa dimensione che si fece spazio e scese sulla terra il Serpente Arcobaleno, creatore di ogni cosa; da qui sono nati gli eroi totemici di ogni tribù, dall'uomo-coccodrillo all'uomo-formica; nel sogno trova ancora risposta la vita offesa e deturpata; ma il mitico azzurro che si dispiega sopra le nostre teste – a ben guardare - assomiglia incredibilmente alle volte dai colori psichedelici evocate dalle droghe del bush; tunnel spaziali e caverne ctonie sono propaggini dei più profondi meandri delle nostre menti dischiuse, che sull'onda dell'ayahuasca, dell'ibogaina o della psylocibina lanceata, ci guida con leggiadria dai pendii delle Ande alle foreste del Congo, sino alle interiora dell'Europa Glaciale.
D’altra parte, come già notava l’inquietante Nietzsche, può essere molto pericoloso scrutare l'abisso davanti a noi: non tanto per la sua profondità, su cui potremo accanirci sino all'ossessione, quanto per il fatto che, ad un certo punto, sarà l'abisso stesso a scrutare noi. L’anima nera dell’Australia offesa.