"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

TESI DI LAUREA









UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea in Filosofia













Tesi di Laurea di:

Alberto CASPANI

Matr. N. 550223






Relatore: Chiar.mo Prof. Carlo SINI








Anno Accademico 2001/2002








AVVERTENZA

La “e” è una lettera scomoda. Impegnativa. Da una parte pretende di legare nomi, concetti o sfere tematiche che spesso hanno ben poco in comune, nel tentativo di offrire una chiarificazione più organica del sapere. Dall’altra effettua tagli stridenti, perché la virtù “doppia” dell’elenco sta anche e soprattutto nel ribadire la differenza di un insieme rispetto ad un contesto.
Parlare del controllo “e” della trasgressione in Michel Foucault, senza porre fra questi estremi neppur un riferimento al potere o al corpo, potrebbe indisporre qualche critico puntiglioso, che nella filosofia dell’maître francese ha posto la propria ragione di vita. Atteggiamento del tutto giustificabile, qualora valga il presupposto per cui sia il controllo che la trasgressione non siano fenomeni originali, bensì conseguenze connesse alla rottura di uno stato d’equilibrio.
Ma la sfida lanciata da Foucault sta proprio qui: non fermarsi alle sistematizzazioni, smettere di credere alle suggestioni dell’ordine, abbandonarsi totalmente alla curiosità (“non già quella che cerca di assimilare ciò che conviene conoscere, ma quella che consente di smarrire le proprie certezze. […] Vi sono momenti, nella vita, in cui la questione di sapere se si può pensare e vedere in modo diverso da quello in cui si pensa e si vede, è indispensabile per continuare a guardare e riflettere”; UP, pp. 13-14).
Ciò che buona parte della filosofia contemporanea ha dimenticato, dopo la morte del filosofo di Poitiers, è stato il modo in cui si sono venuti a definire i concetti cardine del suo pensiero: per anni si è continuato a parlare del potere e delle sue evoluzioni, delle sue implicazioni nella scrittura dei corpi, come se tutto dovesse trovare spiegazione all’interno di questa sola, immensa e controversa  categoria monistica. La tesi in esame muove invece dalla considerazione per cui il potere è innanzitutto un esercizio: esercizio di forze in quanto ordinamento e controllo di flussi. Il punto di partenza non individua un centro privilegiato, ma affonda nel caos dell’indefinito, nel continuo sovrapporsi di correnti destrutturanti e contraddittorie, rispetto alle quali il corpo si viene a configurare come uno dei luoghi di attrito e di successiva interpretazione del reale.
In sostanza non si invita ad un mutamento radicale di prospettiva (ad un vedere altro), quanto piuttosto ad una deviazione dalla sua traiettoria, ad un vedere altrimenti: è cioè possibile parlare del controllo, prima del potere? Esiste una forma di controllo che determina il potere? E se sì, quale rapporto gioca la trasgressione nei confronti del controllo? E’ implicita nella sua stessa affermazione o si dà al contrario come “alterità” irriducibile?
L’intento seguito consiste nel rifrangere un assurto base della filosofia odierna, per cui da un potere di carattere disciplinare si è gradualmente passati ad un potere più subdolo ed invisibile, esercitato attraverso il controllo indiretto delle menti e dei corpi. Questa posizione viene vista come un superamento, o meglio come un’evoluzione, delle condizioni materiali rispetto alle quali si orientarono gli studi foucaultiani. Trascura, tuttavia, un elemento essenziale, e a tratti inquietante, della riflessione maturata dal maestro francese: chi, di fatto, esercita un potere sull’uomo?
E’ chiaro che se viene a mancare un referente dell’azione, anche le tradizionali tesi riguardanti l’esercizio del potere iniziano a vacillare. Se non è possibile attribuire alla volontà di un soggetto il fine del controllo, in che modo esso troverà mai giustificazione? Ogni individuo, potenzialmente, può oggi essere controllato. L’invasività delle nuove tecnologie ha raggiunto livelli di penetrazione nel reale inimmaginabili, cresciuti di pari passo allo sviluppo della comunicazione. Più si comunica, più si parla di sé e degli altri, più è possibile conoscere ciò che un tempo rimaneva celato negli anfratti della soggettività. Ma se chi controlla può a sua volta essere controllato, chi controllerà “chi”? La presa di coscienza per cui nessuno è in grado di isolarsi in una cabina di regia, attraverso la quale organizzare il flusso della vita propria ed altrui, fa vacillare la fiducia nella razionalità dell’uomo, al pari di quanto avvenne dopo l’annuncio della morte di Dio. Tolto Dio, l’uomo è tornato ad essere più che mai “faber fortunae suae”. Ma se ora non vi è più neppure un barlume di razionalità dietro l’esercizio del potere, una volontà di potenza, che senso ha il controllo? Perché si controlla, se il potere non ha giustificazione alcuna nella volontà di un soggetto?
La stessa trasgressione di questo controllo “senza ragione” appare illogica, una questione di gusto: dà adito a forme ibride di rivolta, a paradossi, a congiunzioni disgiuntive e dunque squilibrate, rispetto alle quali i tradizionali codici di lettura binaria si rivelano insufficienti nell’offrire una delucidazione. Il corpo dividualizzato, cioè privato di un’identità stabile per sfuggire alle morse del controllo, viene ridotto a mero supporto di figurazioni occasionali. L’indecidibilità dello spazio umano, incapace di chiudersi nei confini di un luogo determinato, porta conseguentemente al collasso la stessa dimensione temporale: né passato, né futuro. Un presente si sostituisce ad un altro, senza lasciare scorie. Ma è davvero così? Questa lettura non è forse avvelenata dall’antico pregiudizio platonico secondo cui il corpo è solo bruta materialità? L’uomo è preda inerme di forze incontrollate?
Foucault è stato definito un archivista, quasi con disprezzo. Eppure proprio la nozione di archivio che lui stesso ha elaborato, offre oggi uno spiraglio di razionalità nel magma del chiacchiericcio pessimistico in cui è sprofondata la discussione attorno al potere-controllo. Se infatti è possibile individuare nel corpo il luogo di un accumulo che opera stratificazioni distinguibili, allora conoscerne i meccanismi significa possedere la chiave di volta per strutturare consapevolmente la propria soggettività, beneficiare della ricchezza del caso per moltiplicare la nostra persona in funzione di una realtà mobile, per quanto l’archivio si presti pure ad uno sfruttamento di carattere manipolatorio. Innocenza e dramma del gioco, che svela le sorti e commina i destini.
Nella gestione dell’archivio, così come potrebbe avvenire nell’ultima biblioteca dell’umanità, si gioca di fatto la sfida del senso: la posta è la padronanza delle tecniche di scrittura. Chi fosse in grado di comprendere se davvero esista, e quale mai sia, quella logica misteriosa ed aleatoria che travalica le pretese panteistiche del Rinascimento, al pari della cocciutaggine di Port Royal, potrebbe davvero chiudere la partita. Con una vittoria secolare od una sconfitta irrimediabile, sarà il giocatore stesso a stabilirlo. 

CONCLUSIONI

Dall’enunciato all’uomo. Dopo aver messo fuorigioco il soggetto, Foucault ci ha spinto a tornare con un colpo di coda al punto inizialmente problematizzato: l’uomo in quanto prodotto delle sue stesse pratiche di scrittura.
Il ricorso al paradosso e alla negazione della norma era inizialmente servito per dimostrare come gli oggetti del nostro sapere si costituiscano in una rete di regolarità che travalicano il processo di significazione operato dal singolo. Una forma di controllo ed autoregolamentazione è cioè in atto prima della costituzione del soggetto, condizionandone in seguito le stesse possibilità di visione e di lettura del reale. La consapevolezza del sé ruota infatti attorno ad un rapporto tanto specifico quanto occasionale che si viene a definire fra ordine e spazialità, in virtù del quale è possibile tracciare linee vettoriali di significazione, operanti tagli ed inconsapevoli esclusioni  nella sfera del senso.
L’affermazione di una norma non ha nulla di assoluto, non è giustificata da alcun fondamento metafisico: ha solo un valore funzionale ed ammanta i rapporti di forza col velo della convenienza. La sua trasgressione diviene allora inevitabile laddove l’Altro rifiutato torna a reclamare la propria verità, nel momento in cui il Medesimo non è più in grado di rispondere alle aspettative del momento. Per ovviare agli effetti di instabilità generati dalla dimensione polemica che pervade l’istituzione del significato, la logica inerente la materialità degli enunciati porta a spazializzarne i meccanismi di formazione attraverso supporti di scrittura facilmente controllabili, onde acquisire una visibilità sempre maggiore nei confronti dell’alea che altera il dato.
La logica si scopre in realtà logistica, cioè una strategia di difesa e di sussunzione dell’Altro, dove cruciale nella padronanza del sé risulta l’individuazione del luogo (virtuale) di regia del reale. La ricerca di questo luogo, vitale per il soggetto che anela sottrarsi alle spire del non senso, si incarna nella volontà ossessiva di vedere persino l’invisibile: padroneggiare l’invisibile, l’alea, ovvero l’Altro, significa stabilizzare la vita in una serie definita e calcolabile di configurazioni, la cui iterabilità presiede alla possibilità stessa di comunicazione e comprensione del senso.
Ma dal momento che il visibile risulta sempre prospettico, il problema di una visibilità a tutto tondo non solo porta in luce le irriducibili discrasie presenti fra il piano della visibilità e quello dell’enunciabilità (“ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice”: è impossibile descrivere ciò che si vede e dunque padroneggiarlo in quanto oggetto di sapere), ma mette anche in crisi il principio panoptico della teoretica occidentale: se i punti focali delle prospettive non possono che rimanere “al di là”, “oltre” l’apertura stessa del visibile, la distinzione fra chi ha la possibilità di vedere (occupando un punto privilegiato dello spazio) e chi viene invece visto, genera squilibri di potere, contrari alla filosofia equiparante del controllo. 

Occorre fare un passo indietro: dal potere sul controllo si passa cioè al controllo sul potere attraverso la sostituzione del principio panoptico con quello synoptico, in virtù del quale le prospettive deflagrano dal proprio punto di irraggiamento e si sovrappongono nell’illusorio tentativo di colmare i buchi neri della conoscenza. Questa perenne mobilità della soglia di visione, che non può mai trasformarsi in un limite ideale dai margini definiti, innesta però un motivo di discontinuità irriducibile nella dialettica della conoscenza, le cui conseguenze più radicali investono innanzitutto le sfere temporale e spaziale. 


Da sempre luogo di accumulo e di rielaborazione del sapere, fondata sui principi della linearità e della successione, la temporalità presenta un inaccettabile carattere “aperto” (in fieri), che comporta la graduale modificazione della personalità di un soggetto. Frazionandone la continuità evolutiva, diviene molto più semplice padroneggiarne la formazione dell’identità: ordinando ed omologando le occasioni di interazione col reale è così possibile comprendere quale identità si verrà a sviluppare in un determinato contesto, prevederne le azioni e le reazioni, orientarne i gusti, modificandola con altri schemi identitari a seconda delle esigenze imposte dal controllo.
Privato della sua personalità (ma non della sua soggettività), l’individuo viene ridotto a mero supporto di identità indotte e variabili. Il corpo diviene teatro senza regia di fugaci figurazioni: su di esso si scrive e si cancella quasi fosse una semplice lavagna, senza rendersi conto che ciascuna identità vi sedimenta creando – nel tempo della durata e non solamente dell’occasione – stratificazioni ordinabili nei canali di un vero e proprio “archivio organico”. Il corpo, in quanto medesimo supporto di identità transeunti, può autoregolarsi indipendentemente dal controllo “secondo” gestito dall’uomo nella dimensione del potere.
L’arma del controllo si rivela a doppio taglio: laddove si pensava di poter condizionare le configurazioni del soggetto attraverso la manipolazione degli enunciati, al contrario ne sono state meglio illuminate le condizioni di possibilità. Ciò consente all’individuo di organizzarsi in quanto dividuo, ovvero di sfruttare la moltiplicazione del proprio sé, generando di riflesso un nucleo di rifiuto alle richieste identitarie del controllo, un polo di resistenza o di alterità opposto all’omologazione del Medesimo. Si sta al gioco, poiché conoscere le innumerevoli sfaccettature delle proprie identità significa al contempo poter prendere distanza dalle stesse.  La sintesi operata dall’archivio consente infatti di generare un doppio per differenza (o negazione), alimentando come forma di difesa ed occultamento un gioco di simulazioni.
La logica binaria della rappresentazione, intesa come presentificazione e riduzione del doppio nell’uno, si dissolve nei simulacri della somiglianza, che ostenta il terzo come uno del doppio: è questo il nuovo elemento di congiuntura fra segno “e” designatum, che non solo garantisce alla personalità di sfuggire alle maglie del controllo, ma anche di moltiplicarsi nell’esperienza dell’Altro. Si afferma per negare, senza che sia possibile distinguere una volta per tutte gli estremi di questa stessa somiglianza: soglia di indecidibilità fra una provenienza rifiutata ed una destinazione non ancora definita, che impedisce alla sintesi della personalità di chiudersi su se stessa. E’ l’inaugurazione di una logica ludica, in grado di esaltare l’alea propria dell’organico, inconsapevolmente liberata dalla riduzione del corpo alla sua dimensione biologica pura. Non c’è qui la pretesa conoscitiva rinascimentale di trovare somiglianze ed analogie in ogni forma dell’esistente, in vista dell’assoluto, quanto piuttosto di mobilitare le risorse nomadiche dell’identità in funzione di una realtà mobile.  
La tradizionale scrittura dei corpi entra in crisi: il vecchio modello a schemi biunivoci, fondato sui diretti legami fra matrici e segni, collassa per effetto d’assonanza. Tutto si somiglia e si richiama, ma nulla può dire la verità dell’origine. La verità è una costruzione “artificiale”, un artefatto della retorica che ha validità solo in funzione di specifiche coordinate spazio-temporali. L’uomo è cioè il prodotto di una “versificazione ontologica” che dischiude spazi senza luoghi, tempi senza cronologie, trasgressioni ripiegate su se stesse ove l’Altro abita nel Medesimo.
Ma è proprio qui che il maître francese ci lascia in panne. Lo studio del controllo, divenuto in una seconda fase del pensiero foucaultiano critica delle “forme” di controllo, deraglia nel rifiuto della risposta.
Conta svicolarsi, sciogliersi dalla presa dell’Universale in quanto strumento di omologazione della Differenza. Solo in questo modo è infatti possibile inaugurare spazi di movimento in cui il soggetto è libero di autofondarsi. Ma l’autofondazione è un’utopia.
Il problema di fondo consiste nel fatto che la configurazione del soggetto avviene comunque per negazione di una realtà già data. Il confronto – seppur assunto nella dimensione polemica dello scontro – non travalica cioè il muro del Medesimo, ma lo smussa piegandolo ai propri desideri, rivestendolo di simulacri illusori.  
Più che ad un atto di liberazione, siamo qui di fronte ad un atto di (non)responsabilità. Ciò che realmente importa è negare ciò che si è. Di conseguenza le categorie di riferimento che, nel bene o nel male, hanno contribuito a definire il soggetto della modernità, vengono assunte come base di diffrazione della soggettività. Lo scopo della resistenza è una sovversione della “macrofisica” del potere sul piano della “microfisica” dei confronti locali di forze che la determina. Si deve gettare sabbia nell’ingranaggio, recita la massima di Foucault. Dissoluzione del soggetto classico, fine di una storia lineare ed evolutiva del progresso, abbandono dell’illusione che il senso vissuto possa essere formativo, in senso strutturale, della realtà sociale: sono appunto le linee programmatiche che il filosofo francese aveva delineato nell’intervista a Paolo Caruso risalente al 1969.  
Ogni soggetto può costruirsi una propria Weltanschaung, o morale che si voglia, giustificabile esattamente sullo stesso piano di quanto possa fare l’altro. La politica totale, perché senz’etica, ha un carattere nichilista. In termini più tradizionali, l’affermazione di una morale “libera”, non soggetta al controllo, coincide con la distruzione dell’etica. Quest’ultima, infatti, necessita di un sostrato di comune condivisione per poter generare l’ordine del sociale, che al di là della critica del secondo Foucault e dei suoi epigoni, non è riconducibile esclusivamente al controllo-potere sui soggetti, ma risulta anche e soprattutto garanzia di esistenza dei soggetti stessi, del loro vivere civile e del loro reciproco comprendersi.
Fuori dalla società, o per esteso dall’etica, l’uomo torna ad essere bestia o dio. Ma lungi dal possedere ancora la perfezione dell’essere, all’uomo di oggi non resta in eredità che il lato più anarchico e vulnerabile del proprio essere: una moderna forma di dissidenza che manifesta soprattutto una mancanza politica. Gli ultimi scritti di Foucault lasceranno solo intravedere la necessità di conferire alla propria esistenza una struttura forte ed unitaria: la politica dovrà garantire un ordine sociale che renda possibile l’applicabilità generale delle regole d’etica. Ma, in fondo, questa era un’esigenza già presente in nuce nella prima fase del pensiero foucaultiano, gradualmente oscurata dagli studi degli anni ’70.   
Le stesse tecniche di scrittura sperimentate da Roussel nel tentativo di sottrarre il soggetto ad una lettura univoca, non riuscirebbero nel loro intento se mancasse una procedura di autoverifica (o controllo) che, correndo negli interspazi aperti, unisca parentesi e frammenti attraverso il medesimo filo rosso.
Analogamente la congiuntura che ha trasformato il testo classico nell’ipertesto post-moderno non è unidirezionalmente volto all’aperto (generando giochi di richiami all’infinito), ma consente pure di tornare all’ipotetico punto d’inizio (che proprio per questo non deve essere inteso metafisicamente come “origine”), in virtù del quale sia garantita la leggibilità del senso “in opera”.
A questo punto l’archivio descritto da Foucault viene a ricoprire un valore assai più decisivo di quanto lo stesso filosofo francese fosse riuscito ad immaginare.
L’archivio non è solo luogo di resistenza, ma boa d’attracco, sponda cui aggrapparsi per non essere inghiottiti nella fluidità dell’essere liberata da Foucault. E’ base di sedimentazione, in cui è possibile modificare l’ordine del dato, senza tuttavia rinunciare alla struttura che ne ha consentito il deposito.
Foucault ci ha aiutato a violare la porta di un archivio segreto alla stessa società che lo ha generato, in cui solo l’entrata e l’accumulo erano consentiti, ma non il riflusso. La sua chiave, il potere, è stata trasmessa da un soggetto all’altro senza che nessuno potesse mai supporre quale fosse il segreto da essa celato.
Il filosofo francese ha però taciuto (volontariamente o meno è compito degli storiografi stabilirlo) circa il rischio di far crollare l’intera impalcatura, nel momento in cui il disvelamento dell’archivio offre l’opportunità di usufruirne a nostro piacimento.
Ma è proprio a partire dall’impalcatura del controllo che sarà possibile scoprire come la sostituibilità delle identità, pur comportando la sottrazione dalle tecniche di assoggettamento, non mini di fatto la possibilità di organizzare una personalità “aperta”, né esponga al pericolo di lasciare il suo monopolio all’unico possessore della chiave. E’ per questo che urge tornare a garantire una medesima forma di leggibilità per le differenti forme di linguaggio oggi elaborate.


INDICE





ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI p.   2bis

AVVERTENZA p.   3

PARTE PRIMA: VEDERE ALTRIMENTI
CAPITOLO I: CONTROLLO E NORMATIVITA’ p.   6
1.1) Definizione di controllo: duplicità argomentativa p.   6
1.2) Il rifiuto dell’impostazione metafisica p. 14
1.3) Analisi e materialità dell’enunciato p. 17
1.4) Norma come condizione del gioco e della trasgressione p. 24
1.5) Caratteri del gioco p. 28
1.6) Le quattro categorie del gioco e la sua “posta” p. 31

CAPITOLO II: VEDERE L’INVISIBILE. PANOPTISMO E TRASGRESSIONE p. 37
2.1) Dal controllo al panoptismo: il rapporto fra enunciati e visibilità p. 37
2.2) Evoluzioni tecniche delle forme di controllo p. 44
2.3) Dal panoptismo al synoptismo: l’emersione della norma p. 46
2.4) Il visibile/invisibile come fondamento del potere p. 48
2.5) Il Panopticon, strumento di teoresi p. 56
2.6) La trasgressione ripiegata su se stessa: l’auto-limite p. 61

CAPITOLO III: QUESTIONE DI LIMITI p. 64
3.1) Definizione di limite p. 64
3.2) “Origine” della trasgressione p. 67
3.3) Trasgressione come scrittura del tempo e dello spazio p. 71
3.4) Il tempo della trasgressione p. 73
3.5) Esempio di crono-logia trasgressiva: il paradigma cinematografico e l’audio-visivo p. 79

CAPITOLO IV: LA RISPOSTA IMPOSSIBILE. DUALITA’ E VIRTUALITA’ p. 83
4.1) La scansione dei ritmi p. 83
4.2) La negazione della logica binaria p. 87
4.3) Fine dell’identità del soggetto e sua moltiplicazione virtuale p. 96
4.4) La riduzione dell’individuo al corpo come supporto e resistenza p.100
4.5) Esibizione del corpo alla sovrascrittura p.103
4.6) Resistenza alla sovrascrittura: la simulazione p.108
4.7) L’archivio del simulacri p.111
4.8) Celare la resistenza: il gioco della simulazione p.115
4.9) La strategia del segreto p.118
4.9.1) Rapporto fra segreto e informazione: i limiti della democrazia p.122

PARTE II: SCRIVERE ALTRIMENTI

CAPITOLO V: UTOPIA ED ETEROTOPIA p.127
5.1) La ricerca del non-luogo p. 127
5.2) L’ospitalità come soglia del non-luogo p. 130
5.3) Abitare il non-luogo: l’estetizzazione della vita p. 135
5.4) La costruzione del segreto p. 137
5.5) L’utopia svelata p. 139

CAPITOLO VI: IL GIOCO DEGLI SPECCHI p. 146
6.1) Il linguaggio si specchia p. 146
6.2) Dal non-luogo al non-senso: il problema del doppio p. 149
6.3) La “congiuntura” del calligramma p. 152
6.4) Il filtro della “congiuntura” nella comunicazione p. 154
6.5) I due fronti della “congiuntura”: la battaglia audio-visiva p. 156

CAPITOLO VII: MENTIRE ASSERENDO IL VERO p. 159
7.1) Gli spifferi fatali della congiuntura p. 159
7.2) L’attrazione e la co-implicazione degli estremi p. 161
7.3) Il circolo si chiude: nel deserto degli specchi p. 164
7.4) Dalle sabbie torna un’eco: il “procedimento” p. 167
7.5) Il “procedimento” diventa maschera p. 170
7.6) Maschere unisone: il fenomeno dell’assonanza p. 173
7.7) La parola imbrigliata: la grammatica si fa arte combinatoria p. 176
7.8) Problemi di sovrapposizione p. 178
7.9) Il linguaggio è un labirinto p. 182
7.9.1) Una nuova archeologia del tempo e dello spazio p. 185
7.9.2) Ritorno alla realtà p. 193

CONCLUSIONI p. 200
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI p. 205