"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

lunedì 14 novembre 2005

DANZANDO CON GLI SCIAMANI/4



MISS TUVA

Non c’è visione sciamanica più illuminante, che assistere alla consacrazione di una dea in carne ed ossa, ovvero Miss Tuva. Il concorso di bellezza che ogni anno ha luogo a Kyzyl, a cavallo dei giorni di Ferragosto, è indubbiamente un’ottima chance per farsi un’idea del tipico clima dei festival siberiani. Se in Yakutia l’appuntamento cardine si chiama Ysyakh, nella piccola repubblica al confine con la Mongolia è conosciuto piuttosto come Naadim. Per quanto il primo vada in scena due mesi prima (durante il solstizio d’estate), le due celebrazioni si somigliano e si richiamano per molti aspetti: a nord i locali danzano in circolo con gioielli d’argento sulla fronte e sciamani vestiti da lupi alle spalle, si sfidano in gare di lotta libera o a cavallo, bevono latte fermentato di giumenta (kymus) ascoltando i cantastorie narrare l’epopea dell’eroe Olonkho; a sud prevale una vena più agonistica, poiché gli uomini si sfidano in prove volte ad esaltare le qualità della caccia e del combattimento tipiche dei nomadi.

“Dal Kazakistan alla Yakutia, passando per il Kirghistan e la Mongolia, siamo tutti figli dello stesso ceppo altajco-mongolico – ha spiegato Suzannah Mongulek, promoter ufficiale della cultura tuvina in quanto ultima vincitrice del concorso di bellezza locale – e, al di là delle prove d’abilità, è senz’altro la musica a mostrare meglio le nostre comuni radici. Un vero mongolo dev’essere in grado di suonare correttamente il morin khuur, una sorta di violino costruito in origine con costole e criniera di cavallo, proprio come saper cantare gli höömi, basati su profondi suoni di gola, laringe, stomaco e palato, i quali danno modo di emettere contemporaneamente due melodie separate”.

A Tuva una miss non può aspirare al titolo se non sa muovere passi di danza tsam, impersonando ad esempio Tserendug (un vecchio sciamano canuto), se non è capace di memorizzare le più insigni poesie degli avi o improvvisare lodi in rima per la propria terra, se non ha idea di come si costruisca un beshiks, tipica culla di legno ad archi. Per un nomade tutto dev’essere guadagnato con le proprie forze. Persino la bellezza. Una bellezza morale, ancorché estetica, che tanto somiglia ad una verità perduta.

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