"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

lunedì 25 giugno 2007

A CAVALLO DELL'ØRESUND


Da lì la Svezia sembra davvero vicina. Assai più di quanto lasciasse immaginare sul finire dello scorso millennio, quando nessun ponte aveva osato solcare ancora lo stretto dell’Øresund e all’orizzonte la Scandinavia emergeva impalpabile, un po’ come la mitica isola di Thule. 

Ma ad aver visto giusto era stato già il buon Seneca, che nella sua “Medea” scriveva: «Alla fine dei tempi l’oceano scioglierà le catene delle cose e l’immenso globo terrestre si farà visibile: Teti svelerà così nuove regioni e Thule non apparirà più come la terra estrema».

Oggi bastano 30 euro e 20 minuti d’auto per trasbordare da Copenhagen alle propaggini meridionali della Scania. Dei romantici battelli che attendevano le fughe dei viaggiatori zaino-in-spalla non è rimasta traccia alcuna. Lenti. 
Troppo lenti.



La Svezia è un po’ più europea e l’Europa un po’ meno sognatrice, benché al di là del ponte viva un popolo che, agli occhi degli epigoni latini, preserva tuttora i tratti degli strabilianti Iperborei. La magia del Grande Nord, regno di luce, pace e lungimirante sapienza, continua a farci sentire gretto volgo da panem et circenses; e non è solo per via di Olof Rudbeck il Vecchio, che nell’«Atlant eller Manheim» del 1675 sostenne per primo la filiazione diretta fra Svezia ed Atlantide. L’imponenza dei tiranti d’acciaio, la maestosa leggiadria dei pilasti in cemento armato, così come il blu cosmico del cielo in cui si riflette il Baltico, hanno un che di titanico, una malìa annichilente, forse paragonabile solo allo stupore dei barbari di fronte agli acquedotti eterni di Roma. Annunciano l’ingresso a un regno aulico.


Abbiamo solo occhi per la meraviglia, perché qui la bruttura sembra davvero fuori luogo. Qualcosa d’intimamente alieno e del tutto casuale. Un’imperdonabile distrazione. Se mai la si accetta, è pur sempre sotto la categoria del bizzarro, come se si trattasse di un nuovo modello di sedia o lampada non troppo riuscito, per via del suo design non in linea con la grande tradizione di stile qui imperante. E’ il cosiddetto complesso di Christiania.



Emarginata in un’ex base militare che, attorno al 1970, un manipolo di hippies aveva trasformato nell’ambigua Utopia, oggi la cittadella della droga e del sesso ha il compito di catalizzare tutto ciò che di trasgressivo la capitale danese può offrire. Ne è il monumento istituzionalizzato, che si erge a monito dell’umana decadenza attraverso l’immagine struccata della “sua” statua della Libertà: di fronte a una casa azzurra, sfregiata da graffiti e probabilmente abbandonata, si erge inquietante e profetico lo scheletro del sogno occidentale andato a male. 

Un ammasso di ferraglie arrugginite disegna infatti i contorni della vecchia dama yankee, coronata da spuntoni cadenti e condannata a sostenere una fiaccola ormai priva di fuoco. Nella mano sinistra brandisce una sbarra armata di una squallida falce: tutto sommato il simbolo della libertà suprema, più antica e disincantata di quella con cui ci si riempie solitamente la bocca. 


La morte. La morte che si erge come una pianta fiorita sul terreno dove giacciono la stella di David ed una svastica uncinata, non paghe di fronteggiarsi per ricordare gli orrori di un passato mai troppo lontano.


Christiania vive in una dimensione parallela, surrealista ed atemporale. Cani vaganti se ne stanno acquattati fra le immondizie ovunque sparpagliate, mentre cataste di biciclette disfatte nascondono sporche muraglie, decorate con affreschi decisamente stagionati. Qui è il ripostiglio del vizio da cui la città si è scrupolosamente ripulita seguendo l’esempio dei meticolosi marinai di Amburgo, lasciando alla sola Amsterdam il titolo di capitale degli eccessi che un tempo le spettava.





Fuori da questo bubbone, c’è invece spazio per la sola luce del Nord. Sulla piazza del Radhus la dorata statuina di Absalon I, vescovo di Roskilde e fortificatore della città, si ostina a diradare i pensieri cupi. Le tre enormi cicogne della fontana di Amagertorv si protendono verso orizzonti opposti ed inesplorati, dal momento che fermarsi significa sprofondare fra fasci di canne lacustri e nella melma della stagnazione. Bisogna essere sempre vigili, in un Paese dove la notte può durare assai più del giorno e gli incubi del buio riaffiorare quando meno te li aspetti: persino nella piazza romboidale di Amelienborg i quattro palazzi reali si tengono d’occhio a vicenda, con immutabile severità, mentre la statua a cavallo di Federico V bada che il cambio della guardia non conosca interruzione.





Confidenti in tanta sicurezza, i sorrisi delle ragazze di Copenhagen si dischiudono d’accecante radiosità. Affiorano un po’ ovunque: da una leggiadra passante in bicicletta, mentre corre con i biondi capelli sciolti al vento e del tutto incurante della sua minigonna; dalla “Grabrode Torv”, la “Piazza dei Monaci Grigi” dove illuminano col calore intimo delle candele i tavolini al di sotto del grande faggio, silvestre guardiano delle case dagli ocra intensi e dal porpora della giovinezza. Sbocciano fra i verdi prati del Rosenborg Slot e del Botanisk Have, nudi e schietti quanto i corpi che reclamano i baci del sole estivo. E’ la serenità del sentire ogni cosa al proprio posto. Il dono più gradito lasciato ai propri posteri da Carl Linneus, padre della classificazione scientifica, nonché primo fra i botanici. L’uomo che dell’Øresund ha fatto il suo giardino di casa.


Celebrato nel 2007 per i 300 anni dalla sua nascita, oggi invita alla scoperta della natia Svezia attraverso l’ospitalità aggraziata della capitale danese, che ne rappresenta la porta meridionale più estrema: non esistono infatti capanilismi o gelosie fra questi popoli, per i quali ancor vige l’antico diritto vichingo di concedere libertà d’accampamento sulle proprietà private, purché il cuore sia puro di subdoli bizantinismi.

Grazie all’introduzione dei doppi nomi latini per classificare il mondo naturale (metodo ben delineato nelle pietre miliari del campo, cioè le opere Species Plantarum e Systema Naturae), Linneo creò un sistema di riferimento adottato da tutti gli scienziati che poi lo hanno seguito. Virtù della semplicità: un nome del gruppo generale d’appartenenza, quindi il nome unico della specie. Così si entra nella storia.





Il sistema è il filo d’Arianna della botanica. Senza di esso è il caos” - avrebbe sentenziato Linneo ne la “Philosophia Botanica” del 1751: per questo motivo dedicò tutta la vita a perfezionare un metodo di classificazione inequivocabile di ciascuna pianta, facendo sì che ognuna di esse potesse essere inserita in un solo e unico posto, ma consentendo anche, in base al sistema, d’identificare e dare un nome in piena sicurezza a qualunque pianta.



La sua risposta fu duplice, sebbene si appoggiasse più sul Systema sexualis, anziché sul Methodus naturalis: nel primo le classi sono definite comodamente in base al numero e alla disposizione degli stami, gli ordini in base al numero dei pistilli. Un’innovazione rivoluzionaria: grazie a essa è possibile distinguere i diversi esemplari in base a caratteri facilmente osservabili, purché la pianta sia in fiore, mentre alla specie appena scoperta viene assegnata una classe ed un ordine, arrivando a concludere che “le specie e i generi sono opera della natura; le varietà sono più che altro opera della coltivazione; le classi e gli ordini sono il lavoro dell’arte e della natura”.


Se l’impronta di Linneo è inscritta in ogni angolo dell’Øresund, certamente il giardino botanico dell’università di Copenhagen (www.botanic-garden.ku.dk) ne è la manifestazione più paradigmatica. Fondato nel 1870 su una superficie di 10 ettari, nel tempo ha inglobato gli antichi bastioni della capitale danese, tant’è che questi fanno oggi da suggestivi rilievi per la crescita di piante alpine e calcicole, sebbene qui siano coltivate a rotazione annuale più di 1.200 specie, su un totale di 20mila: fra gli esemplari più spettacolari, spiccano l’Haplopappus Glutinosus (Argentina), il Meconopsis Grandis (Himalaya) e la bellissima Primula Bulleyana (Cina), senza dimenticare l’ironico “Cuscino della suocera”, un cactus Aeonium delle Canarie. Imperdibile anche la sezione delle piante terapeutiche, che vede nel Catharanthus Roseus uno dei rimedi più apprezzati per la prevenzione del cancro. Risalendo verso nord, oltre l’avanguardistico ponte sullo stretto, si passa infine in territorio svedese, nella magnifica regione dello Skåne. Quattrocento chilometri di bianche spiagge sabbiose, rigogliosi parchi naturali e sconfinati campi di colze gialle, appena solcati da casette in legno di un rosso infuocato.


E’ fra questi scorci che si staglia il profilo di Lund (www.lund.se), pittoresca cittadina medioevale che vanta una cattedrale romanica risalente addirittura a Re Canuto, vissuto sul finire dell’anno Mille, nonché il museo “Kulturen”: fondato nel 1892, è il secondo più antico del mondo (il primo si trova a Stoccolma). Qui Linneo compì i suoi primi studi e, grazie alla ricostruzione architettonica attuata nel museo dal suo ideatore Georg Karlin, è possibile farsi un’idea di come fosse la città nei secoli addietro. Case trabeate in legno sono raccolte secondo le suddivisioni sociali dell’antico parlamento svedese: ci sono modelli che richiamano le abitazioni nobiliari, del clero, dei borghesi e dei contadini.


Più a nord-ovest, lungo la costa, svetta invece l’importante città di Helsingborg, dove’è il castello di Sofiero (www.sofiero.se) a strappare la meraviglia dei neofiti: un tempo residenza estiva dei sovrani svedesi, oggi è apprezzato per un parco botanico noto soprattutto per le sue collezioni di rododendri (introdotti in Europa proprio da Linneo). 

Benché risalente al 1864, l’attuale aspetto con torri e pareti luminose si deve ai lavori portati avanti agli inizi del Novecento sotto il principe Gustavo Adolfo: per l’anniversario del grande botanico è stato ricreato un tipico giardino del XVII secolo, mentre gli interni del castello sono stati arredati con essenze vegetali e floreali.



Sempre ad Helsinborg si trova poi il suggestivo museo-giardino Fredriksdal (www.fredriksdal.se), dove simpaticissime guide in vesti settecentesche conducono alla scoperta di uno dei più ricchi roseti di Svezia, ma anche di un orto strutturato secondo i principi di classificazione linneana e dotato di uno spazio ludico-propedeutico per i più piccoli. Districandosi fra erbe afrodisiache e velenose, è possibile compiere un viaggio a ritroso nel tempo, osservando l’evoluzione dei giardino sino al 1600.





C’è ancora tempo per far visita a Aahus, grazioso porticciolo dove risiede la fabbrica originale dell’Absolut Vodka svedese, Ystad, roccaforte medioevale con una delle più imponenti cattedrali in mattone cotto, dotata al suo interno di un giardino botanico. Fra le due si trovano infine Kivik e la Appletshus, un centro in cui è la mela sovrana, benché le sue virtù si facciano apprezzare anche nella cucina del non lontano Olof Viktors (www.olofviktors.se).

Ecco: l’autentico spirito di Linneo è tutto qui. In questo lembo di terra tagliato dal Baltico, ma riunito dall’uomo. All’orizzonte già si torna ad intravedere le bianche finestre ad alveare di "Broste", la guglia appuntita della Borsa di Copenhagen, dove gli animali cattivi sono legati intrecciando loro le code, o ancora l'altissima torre rotonda che tanto somiglia, con le sue bifore romaniche, ad un gigante dai mille occhi. Ma è nel volto del Cristo di rame che svetta dall'alto della Vor Freserkirke a pulsare con veemenza l’inappellabilità dell’addio: coi sui tristi occhi chiusi e la mano stretta al cuore, pare quasi rammaricarsi di non esser riuscito a piegare il gaudente paganesimo di queste terre vergini.




Nella tradizione nordica continuano infatti a sopravvivere antichi riti legati alla celebrazione della vita e della fertilità. Non solo un albero di melo viene piantato al centro del giardino all’inaugurazione di ogni nuova casa, ma da esso si è sviluppato anche il culto del Majstång

Per celebrare il solstizio d’estate, il terzo venerdì o sabato di giugno amici e famiglie si ritrovano insieme per danzare attorno ad un alto albero di forma fallica, ornato di fiori e verde, proprio come i capelli delle donne, mentre un gran falò arde dal primo pomeriggio sino a notte inoltrata. 

Le danze sono accompagnate da pietanze tipiche, come aringhe o pesce affumicato con patate fresche, le prime fragole della stagione, nonché vodka o grappa per inebriare ulteriormente gli animi alla festa. 

Nel frattempo le ragazze vengono invitate a raccogliere un bouquet di sette o nove fiori, da sole e immerse in totale silenzio: la tradizione vuole infatti che, deponendo il bouquet sotto il cuscino della camera, sogneranno del loro futuro marito. Un incantesimo che si rinnova sotto altre vesti, vagando per le vie magiche della città.


E poi c'è questo vecchio tavolino – raccontò un tempo una ragazza, mostrando al passante le meraviglie del canale di Nyhaven - con due sedie a dondolo sempre vuote, piazzato sotto il numero 17”.

Alludeva al famoso casolare giallo "dalle diciotto finestre e dai tre impertinenti abbaini", sotto il quale si odono immancabilmente il tintinnio delle posate in movimento e il gorgogliare delle birre Carlsberg, mentre nell’aria s’insinua il profumo di pesce grigliato. Qui i colori del tramonto sono più caldi – osservava - e le imbarcazioni che rollano nel canale ricevono più cure dei bimbi. E' vero, ogni giorno s'accalcano turisti e cittadini, ma è proprio questa stretta vicinanza fra culture diverse, fra stili di vita originali che lascia affiorare una magia particolare. S’intrecciano storie lontane, si raccontano avventure favolose, ognuno è pronto a scommettere di poter catturare il pesce più grande del Baltico. Tutte le mattine i pescatori controllano con minuzia le loro reti, puliscono i pontili delle barche e si lasciano accarezzare dalla brezza marina carica di salsedine. Chi non è di qui forse non può capire quanti sogni animino questi vagabondi di porto, che paiono usciti dalle fiabe di Andersen".


Lungo Nyhaven può capitare d’imbattersi in un vecchio tavolino traballante, anonimo alla vista dei più. I marinai raccontano che compaia solo in giorni particolari: ogni tanto, infatti, i fantasmi di due vecchi lupi di mare fanno ritorno in città e vogliono assolutamente sedere sulle loro seggiole a dondolo, sorseggiando una quantità enorme di birre scure, verso l'ora del tramonto. Si dice siano piuttosto indisciplinati: ridono per le stravaganze della gente, lanciano fischi alle belle ragazze, ruttano in allegria, aspettando che qualcuno vada a intrattenersi con loro.

Se riesce a vederli – aggiunse la ragazza - significa che sei ormai diventato saggio e che non occorre più vagare per i Sette Mari. Loro urleranno: "det er et yndikt land!" (questa è una terra meravigliosa!) ed esaudiranno il tuo più intimo desiderio”.


Quella ragazza attende ancora il ritorno dello straniero salpato dall’antico porto. Se ne sta sulla banchina dell’Øresund e di lontano pare solo un puntino blu, che rimpicciolisce nei tramonti infuocati del nord. 

Ha la stessa posa di una statuina in ceramica della Royal Copenhagen, consegnata alla polvere del tempo. Il suo nome è Else.

Nessun commento: