"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

lunedì 13 novembre 2006

LE CAVERNE DEL TANTRA/2



L'EROTICA INDIANA

C’è di che arrossire a Khajuraho. Più per il voyeurismo occidentale, che per gli acrobatici numeri erotici delle delicate apsara, fanciulle dall’intonsa bellezza scolpite su 25 templi in perfetto stile Nagara. Nella regione del Madhya Pradesh sopravvivono infatti le spoglie luminose di una civiltà che, fra il IX ed il X secolo, seppe sublimare la”joie de vivre” in un’arte ancor’oggi senza pari. Gli scalpelli dei Chandella hanno plasmato l’arenaria in un tripudio di divinità, ninfe, giovani amanti ed arditi guerrieri, che riempiono la foresta - da cui furono inghiottiti sino al 1838 - di muti sospiri, così come di lascivie preghiere. Un’esuberanza capace di oscurare persino il raffinato simbolismo architettonico del sito, nel quale piante quadrate e rotonde si sovrappongono per decretare la congiunzione fra terra e cielo, le celle interne scuriscono ancor più del grembo materno, le ogive s’inarcano come membri gonfi di desiderio. Troppo per i mussulmani che, qui giunti, sfigurarono tali oscenità; troppo per gli ufficiali vittoriani, imbarazzati persino dalle gambe dei tavoli: Khajuraho è stato e resta enigmatico specchio di estremi.

“Non esiste sito migliore in India per cogliere la connessione fra la nostra mitologia e la nostra filosofia – spiega Chobi, custode di uno dei templi dell’ala est – poiché proprio qui si tentò di ricostituire metaforicamente il corpo di Purusha, il gigante primordiale simbolo dell’uomo perfetto, smembrato per originare l’universo: bastino come prova le due figure poste agli ingressi di ciascun monumento, incarnazione dei fiumi sacri Ganga e Yamuna; secondo la fisiologia hathayoga, questi scorrono infatti ai lati della colonna vertebrale e rappresentano l’androginia delle polarità maschile e femminile”.

Per via dei suoi richiami all’erotizzazione del cosmo, il complesso è stato così definito “tantrico”, subendo di riflesso la condanna morale di quanti vedevano in questa “bassa” filosofia d’estrazione popolare una semplice degenerazione dei costumi, oltre che una minaccia all’ordine brahmanico delle caste, detentore dell’ultima parola in materia religiosa. Eppure, il fatto che i templi fossero utilizzati proprio dai brahmani per raccogliere soldi fra i fedeli, attraverso le sin troppo ardite performance delle loro danzatrici sacre, getta un’ombra di sospetto che spinge a rileggere, se non a riscrivere, la storia stessa dell’India e dei suoi tabù.

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