"Da quassù la Terra è bellissima, azzurra, e non ci sono confini o frontiere" (Juri Gagarin)

domenica 8 maggio 1977

TRE DITA ALZATE


Voi due, venite qui. Ho da farvi un discorsetto”.  Non ci fu neppure il tempo per salutare l’allenatore. Sollevò la mano con noncuranza e si allontanò insieme alle indiziate verso il quadro svedese. 

Appena messo piede in palestra, mi ero accorto che il programma della lezione doveva aver subito una variante inaspettata. I ragazzini stavano provando i salti in modo nervoso, mentre il loro osservatore continuava a fissare l’orologio e a fischiare con insistenza.

Mi ritirai intimidito negli spogliatoi, pronto a togliere la felpa prima del consueto riscaldamento. Benché avessi gettato solo una rapida occhiata al gruppo degli atleti sparpagliati sul tartan, intuii che la squadra non era al completo. Qualcuno aveva disertato, a pochi giorni dalla competizione più impegnativa.

Quando feci ritorno sul campo, le luci parevano essersi sbiadite, l’aria gravava umida e pesante: accovacciati in un angolino, il mio allenatore e due ragazzine si stavano fissando negli occhi con aria di sfida. Li raggiunsi in silenzio, cercando di capire cosa fosse accaduto, senza mostrare segni di invadenza.

Il vero problema – sbottò infine sconsolato – è che bisogna parlare apertamente, dire le cose in faccia. Se nei giorni scorsi vi eravate accorte di esser state trascurate, sarebbe bastato presentarsi ai preparatori e chiedere di essere seguite meglio. Siamo in tanti: purtroppo non è facile comprendere le esigenze di tutti, perciò dobbiamo collaborare, darci una mano reciprocamente. Mi capite?

Non siamo poi tanto stupide: è lo stesso discorso che ci hanno fatto prima. Ma che colpa abbiamo noi, se lei ha scelto di andarsene? Il nostro gruppo si allenava distintamente dal suo. Non avevamo molti contatti

Già, ma dopo tanti anni condivisi nella stessa palestra eravate pur sempre amiche. Vi conoscevate e sapevate anche che lei era disposta a sacrificarsi, pur di conseguire ottimi risultati. Il gruppo delle sue affezionate si era dileguato, è vero… ultimamente, poi, le lezioni non avevano più seguito un programma rigido, ma diamine…abbiamo perso uno dei nostri assi! Un’amica, una ragazza straordinaria!

Ci dispiace

Non dovete sentirvi in colpa. Sappiate solo che noi siamo sempre pronti ad ascoltarvi. E ora andate: vi ho già sottratto minuti preziosi. In gamba, ragazze!

Si sollevò ostentando un sorriso affabile, ma con gli occhi velati dalla delusione. In fondo, cercare un colpevole era quanto di più errato si potesse fare in quel momento. Tutti, nel bene o nel male, eravamo responsabili.
Avevamo perso la sfida più impegnativa e lei, purtroppo, non sarebbe più tornata. Anzi, avrebbe iniziato una nuova, luminosa carriera nelle fila di una società concorrente.

Pronto a sgambettare?” – domandò affabile.

Certo. Come sempre”. 

Non era vero. Qualcosa, nello spirito di gruppo, si era rotto in modo definitivo. Le settimane a venire non sarebbero più state le stesse, nonostante la dipartita di una singola atleta potesse apparire irrilevante, agli occhi dei più. Iniziammo dunque a girare attorno all’isolato, seguendo il solito quadrato residenziale avvolto nel buio e nella nebbia. Nessuno aveva voglia di parlare. Udivamo solo i nostri respiri affaticati, lo scalpiccio delle suole sulla ghiaietta dei marciapiedi. Non so per quanto tempo continuammo quella farsa, ma il dolore alla milza ed il tremolio delle gambe servivano a farci sentire ancora vivi. Eppure, mai come quella sera ebbi l’impressione di girare a vuoto. Di correre senza uno scopo.

E’ dispiaciuto al capo?” – biascicai all’improvviso. 

Lui mi guardò sorpreso, avendo creduto, forse, che fossi rimasto totalmente estraneo alla vicenda. In realtà, più di ogni altro, avvertivo un nodo alla gola. In palestra, quando avevo realizzato che la discussione ruotava proprio attorno a lei, dovevo essere arrossito d’imbarazzo. Fortunatamente nessuno se n'era accorto.

L’ironia del destino” – avevo pensato fra me e me, mentre le due ragazze rimproverate tenevano il capo chino. “Proprio questa sera doveva capitare, dopo averla incitata nell’ultima gara, dopo averla incontrata nel fine settimana in mezzo a mille persone, dopo il suo saluto ricercato e interrogativo… basta, se n'è andata. Così, senza preavviso. Senza dirmi ciò che da mesi pareva angustiarla”.

Lui è abituato – commentò asciutto - di atlete ribelli ne ha viste tante nella sua vita. Alla fine è un po’ come a scuola: arrivano, crescono, se ne vanno. Fa parte del corso degli eventi. Resta però il rammarico di una partenza prematura.
Sai...in genere capita quando una ragazza ha già raggiunto i diciotto, i diciannove anni; ormai il cammino è compiuto. Lei, al contrario, aveva ancora molto da donare a noi tutti”.

E’ buffo. Ne parli quasi fosse morta

Beh, la differenza non è poi molta. Sarà difficile rivederla. E’ uscita dalla nostra vita. Non ci saranno più gare da condividere, né gite di gruppo durante le quali ridere a crepapelle. Come quest’estate, ricordi? Quanto ci siamo divertiti nella pensione vicino al lago! Tutto finito”.

Rientrammo mesti in palestra. La corsa ci aveva sfiancato, ma alla fine ne eravamo quasi compiaciuti. Avrebbe aiutato a dimenticare. “Mio dio, dimenticare! – inorridii muto – dimenticare! Era come se la stessi condannando al confino. Forse è solo il rimorso che spinge a occultare il corpo del reato, a storcere lo sguardo dalla ferita sanguinante…”.

Prima di varcare la porta d’ingresso, mi mise una mano sulla spalla. “Pazienza. Ci si abitua a tutto”.

Aveva capito. L’inflessione della sua voce tradiva una consapevolezza sin troppo schietta.
Dunque il mio rossore non era passato inosservato. Ma in quale misura, sapeva? Se in palestra erano davvero al corrente del mio sgarbo, la gogna non si sarebbe fatta attendere ancora molto. Evidentemente circolava solo qualche pettegolezzo….mai provai angustia peggiore nel resto della mia mediocre carriera di atleta.

Due settimane dopo, i migliori alunni dell’istituto scolastico locale furono chiamati a confrontarsi con i coetanei di altri tre Comuni vicini. La campestre si sarebbe tenuta all’interno di un ampio parco, su una superficie fangosa e difficile. Gara d’alto livello, destinata a gente grintosa. Era l’occasione d’oro per mettere in luce le leve della nostra società. Vecchie e nuove.

Lei non poteva mancare: la sua fama giganteggiava fra le concorrenti dell’ultima batteria.

Stava svolgendo appartata alcuni esercizi di riscaldamento, accanto ad un castagno dai colori accesi. Il contrasto con la sua tenuta ginnica, completamente nera e molto attillata, esaltava il fisico asciutto, appena turbato dal primo sbocciare della sua delicata femminilità. Sulle labbra, nessun sorriso: era concentratissima, incuteva rispetto e persino un po’ di timore.

Vuole dare lei il via alla corsa?

La domanda dell’insegnante di educazione fisica mi catapultò nel caos elettrizzato della gara. Quando mi voltai, il campo, che pullulava di studenti variopinti, dispensò subito un effetto rasserenante. La giornata era gradevole, sebbene il gelo invernale bussasse alle porte. Nel cielo, ammantato di uno straordinario blu cobalto, il sole si stiracchiava pigro, mentre dal percorso segnalato con paletti traballanti si levava un gradevole profumo di erba tagliata.

Non sono un buon giudice. Forse è meglio scegliere qualcun altro!

Oh, ma lei è il nostro cronista di fiducia. Se vuole essere sempre in prima fila nel dare notizie, questa è indubbiamente un’occasione irripetibile

Mi avvicinai alla linea di partenza con grande circospezione. Il fato aveva decretato che proprio la mia equivoca persona dovesse inaugurare la sua gara. La vidi allinearsi alle compagne, mentre teneva lo sguardo rivolto a terra. Percepivo il suo imbarazzo. Non avevamo avuto neppure il tempo di salutarci.

Pronti…”. 

Alzarono tutte il capo, contemporaneamente. Nella frazione di secondo che aveva preceduto il via, lei non aveva resistito. Com'era capitato a me, d’altra parte. Per un attimo avevo incrociato i suoi occhi lucidi e tempestosi, dispensando il segreto augurio che ero solito tributarle un tempo, quando potevo ancora ammirarla da dietro la rete degli stadi.

Sarà dura su questo campo…” – sentenziò uno degli insegnanti, il cui sforzo maggiore era stato sino a quel giorno il ruminare della mandibola di fronte a piattini di meringhe montate.

Non per lei, però. Guardi che falcata! E’ così elegante, così leggera, si nota che è una spanna sopra le altre…”

Col suo passo sicuro e potente stava già staccando il gruppo di testa.

Beh, sappiamo per chi fa il tifo!” – commentò ironico.

Sto solo giudicando le potenzialità agonistiche”.

Sì, sì, adesso si chiamano le potenzialità agonistiche…”.

Era un buffone e, purtroppo, lo sarebbe rimasto sino alla fine dei suoi giorni. Mi ricordavo bene di lui. Ai tempi delle scuole medie era stato il mio professore di educazione fisica. L’unica preoccupazione in grado di farlo sobbalzare dalla seggiolina della palestra era la sicurezza dello spogliatoio femminile. In un modo o nell’altro, trovava sempre un pretesto per ronzarci attorno.

Lei guadagnava metri. Fresca e scattante, come al primo giro. Il suo corpo si muoveva con estrema armonia, senza rinunciare a strane accelerazioni quando sfrecciava davanti alla mia postazione. La coda dei capelli, solo un poco ondulati, sobbalzava inquieta a destra e a sinistra, richiamando le immagini di animali selvaggi in corsa verso la linea dell’orizzonte, lanciati nelle immense praterie siberiane. Tale era il distacco dalle inseguitrici che, all’improvviso, venni turbato da un pensiero assurdo: “e se stesse correndo solo per dimostrarmi qualcosa, per rispondere alla sfrontatezza delle mie accuse?”.

Si prepari a raccogliere i cartellini. Stanno per arrivare

Com’ero stato meschino! L’avevo accusata di essere una ragazza ambiziosa, piena di sé fino all’eccesso. Ma non mi ero limitato a sibilare il mio giudizio con velenoso sarcasmo, quando ancora svolgevamo fianco a fianco gli allenamenti, durante le settimane addietro. Avevo osato pronunciare quelle parole davanti a tutte le sue compagne, mettendola indubbiamente a disagio. Mi ero comportato da irresponsabile, mentre lei aveva liquidato la faccenda con una smorfia beffarda.

La mia presenza alla gara non avrebbe certo recuperato i cocci di un rapporto incrinato. Chissà di quale ipocrisia mi stava accusando, ora che s'accingeva a tagliare il traguardo fra le urla acute delle sue sostenitrici. Non avevo neppure la decenza di nascondere l’applauso.

Brava! Bravissima! – il professore si era sciolto in brodo di giuggiole – lascia, sei affaticata, stacco io il cartellino dalla tua maglia”. 

Non la vidi neppure passare. Solo una breve ventata, pervasa da una calda sfumatura di sandalo, mi comunicò che la sua gara era giunta a compimento. Come al solito in un tripudio di acclamazioni, con un distacco esagerato, con una freschezza invidiata persino dalle vezzose dee dell’Olimpo.

Ancora una volta, era lei ad aver vinto. Ma ora, purtroppo, non mi era neppur concesso tributarle un atto di stima sincera. Forse mi sarei rifatto durante la stesura dell’articolo che, sul numero di fine settimana, avrebbe esaltato la sua ennesima impresa.
La manifestazione era agli sgoccioli.

Ma come? Non si ferma per le premiazioni?” osservò sorpreso il professore.

Ho assolto il mio incarico. Lascio a lei la gloria…”

Si perde il meglio…”

No. Io ho già visto quanto mi interessava….arrivederci!

Alzai il bavero del cappotto e, fissando la punta dei piedi, mi avviai verso l’antica cancellata. Le strade trafficate mi attendevano dietro i suoi intrecci rococò.

Brava! Almeno questo complimento credo di meritarlo da te!

Mi voltai imbarazzato. Era sopraggiunta con aria trionfante.

Ti meriti ben di più. E’ stata una delle gare più intense cui abbia mai assistito: chissà se, un giorno o l’altro, ci sarà mai qualcuno capace di impensierirti…”

Io l’ho già trovato!

Ah sì? E di che squadra è?

Sorrise storcendo le labbra con una punta d'amarezza. Poi s'avvicinò sino a sfiorarmi e, guardandomi fisso negli occhi, disse “tu!”.

Sei ancora arrabbiata con me, vero? Non sai quanto mi dispiace. In palestra pensano che te ne sia andata per cercare un ambiente più stimolante, di maggiore agonismo, ma credo che la ragione sia un’altra…”.

– sussurrò con un filo di voce – ma non è esattamente quella che tu immagini

Mi ritrassi sorpreso. Per giorni e giorni mi ero angustiato attorno ad un’offesa per lei irrilevante. Mi sentivo confuso.

Il fatto è che….io ti amo!

Quella rivelazione, così simile a uno dei suoi fulminei scatti, mi lasciò di pietra. Era l’ultima cosa cui avessi potuto pensare.

Ma…ma tu hai quattordici anni!

Non mi sembra una risposta molto romantica…”.

No, non è affatto romantica. Voglio solo dire che è così difficile definire l’amore…soprattutto quando si è tanto giovani…io stesso non saprei offrirti una spiegazione esauriente…”.

Meglio. Se nessuno dei due sa dire cosa sia, lasciamo solo che accada!”.

La sua parlantina mi aveva messo in croce. In quel momento, fra noi due, era lei a dimostrarsi la più matura. Anche il suo corpo, ora, appariva più vicino a quello di una donna minuta, che alla figura di una ragazzina impertinente.

E che cosa ti aspetti?

Questa volta sorrise con una punta di malizia, incrociando le sue gambe sottili e le braccia dietro la schiena. Abbassò lo sguardo, finalmente tornato vivace ed allegro, e bisbigliò: “mi accontento di un bacio. Per ora!”.

Le premiazioni avevano raccolto tutti i presenti nel cortile dell’antica cascina. Il viale, sui cui vigilavano robusti platani, era turbato solo dal cinguettio dei passeri. Persino la tarda brezza mattutina si era scaldata ai raggi del sole e correva fra i nostri riccioli, accarezzandoci benevola.

E va bene. Oggi hai vinto due volte. Ma…come recita il finale di un vecchio film, domani è un altro giorno!”.

Si avvicinò protendendo le braccia sottili verso il mio collo, alzandosi in punta di piedi. Avvertii dapprima il calore del suo respiro, concitato e tremante come l’abbraccio da cui ero cinto, poi le sue labbra sfiorarono le mie. Si toccarono, reciprocamente sorprese e ingenue, si cercarono, stuzzicandosi con curiosità.

Oh, mio dio! – gridò fuori di sé – è...è meraviglioso! Stupendo!”. 
Si mise a correre sul vialetto, balzellando come una cavalletta.

Grazie! Grazie!” – e mi abbracciò ripetutamente.

Fra poco ti chiameranno: è meglio che tu vada alla premiazione”.

Già, sono arrivati a quelli della mia batteria”.

La guardai ammirato. Viveva ancora di sogni e poesia. Un petalo di rosa che volteggiava spavaldo fra gli sbuffi dell'imminente tramontana. Un folletto dei boschi che si stagliava controluce verso un futuro non troppo lontano.

E’ per questo che hai deciso di lasciare la società?

Era difficile, per me, continuare ad allenarmi in palestra. Non potevo fare a meno di sbirciarti da dietro le porte, o nei riflessi delle vetrate. Non ti voltavi quasi mai e io non ero disposta a rinunciare anche ad uno solo dei tuoi sguardi, o a un tuo sorriso. Così dolce. Le battutine che lanciavi mi mettevano in agitazione, mi facevano sentire al centro dell’attenzione. Credo che il trasferimento sia stato un bene per tutti”.

Tentennava. Non riusciva ancora a credere a quanto le fosse capitato.

Mi prometti una cosa?”.

Distesi il palmo della mano sul cuore. Era divertente. Sembrava d'essere tornati adolescenti.

E’ una promessa solenne. Se le presti fede, dovrai mantenerla seriamente. E’ importantissima per me. Direi che è quasi sacra”.

Spero non sia troppo vincolante”.

Si allungò ancora sulla punta dei piedi e mi sussurrò all’orecchio: “voglio che tu venga a prendermi in macchina il giorno del mio diciottesimo compleanno. Anche se non ci dovessimo più vedere sino ad allora. Poi andremo sul lago e ci terremo abbracciati su una panchina sgangherata, assaporando i baci dell’alba. Costi quel che costi. Anche se sarai emigrato o sposato. Me lo prometti?

Ti do la mia parola di cavaliere

Scomparve soddisfatta fra i cespugli del vialetto.

Non la rividi più. Molte cose cambiarono nella mia vita, da quel giorno. Mi allontanai da casa, iniziai a lavorare per un giornale straniero e decisi di non tornare più sui miei passi.
Non scordai però la mia promessa, la promessa strappatami da una gentil donna astutamente celata nel corpo di una ragazzina.

Il giorno del suo diciottesimo compleanno feci ritorno al paese natio. Era sera. Davanti al cancello della sua abitazione motorini e studentelli sbruffoni si contendevano la scena. 

La vidi comparire all’improvviso dal cortile della villetta.

Era alta, florida, vestita in un provocante completo di jeans. All’inizio non s'accorse neppure della mia presenza; poi, quasi avesse avvertito alle sue spalle un richiamo recondito, si voltò incredula.

Ma...ma sei tu! Sei venuto davvero!

Già. Ti avevo dato la mia parola”.

I ragazzi sui motorini si scambiarono occhiate perplesse. Lei era imbarazzata, benché nei suoi occhi scalpitasse una folle irrequietezza. Rimase in piedi in mezzo a loro, indecisa sul da farsi.

Beh, sei stato gentile. Però questa sera ho da fare…”.

Pazienza. Non possiamo prevedere tutto quanto dovrà capitare. Comunque mi ha fatto piacere rivederti. A presto e…divertiti!”.

Sì...ciao!”.

Mentre mi allontanavo al volante di un’auto scalcinata, m'accorsi che i suoi occhi mi stavano fissando di lontano, nello specchietto retrovisore. Aveva l’espressione di chi vede lentamente dissolvere, nell’imprevedibilità della vita, un sogno non più compreso.

Era diventata una vera donna. Io, al contrario, ero rimasto un ragazzino. 

Sollevai tre dita della mano, l’indice, il medio e l’anulare, ridacchiando beffardo: “oh Adamo, sei sempre così serio!”. 

Quanto avrei dato per rivedermi una puntata del mio cartone animato preferito…      



1 commento:

Unknown ha detto...

Con il giavellotto non ho mai fatto braccia